Alitalia, la casta infinita

Pensioni baby, cassa integrazione extra lusso, viaggi gratis I conti sono in rosso ma i dipendenti non mollano i privilegi

Alitalia, la casta infinita

Le ultime parole famose. «Allacciate le cinture, stiamo decollando davvero, piaccia o non piaccia»: questo è Matteo Renzi stile assistente di volo. E questo invece è James Hogan, numero uno di Etihad il giorno in cui prese il controllo di Alitalia: «Sarà la compagnia aerea più sexy del mondo». Parole dette nel 2015 e seguite dalla promessa che dal 2017 i bilanci di Alitalia sarebbero stati in attivo. Poche settimane fa il presidente della compagnia, Luca di Montezemolo, ha dovuto ammettere che la realtà è tutt'altra: «Perdiamo 500mila euro al giorno», ha dichiarato durante un'audizione in Parlamento. Che fanno almeno 150 milioni in un anno. Non che in precedenza andasse meglio: nel settembre 2015, quando si dimise l'amministratore delegato Silvano Cassano, Alitalia perdeva 18 euro per ogni passeggero trasportato.

Mentre gli altri vettori europei macinano utili approfittando del prezzo dei combustibili mai così favorevole, la nostra ex compagnia di bandiera continua ad arrancare. Non riesce ad approfittare nemmeno della gravissima crisi della seconda compagnia italiana, Meridiana, salvata dal fallimento da un altro emiro, quello di Doha che controlla la Qatar Airways. Etihad ha il 49 per cento di Alitalia e più di così non può crescere: se acquistasse altre quote della società che fa base a Fiumicino, essa diventerebbe extracomunitaria e perderebbe lo status che le consente di volare liberamente nei cieli d'Europa.

Il nuovo management ha tagliato pesantemente i bilanci, dando una svolta alla compagnia dei privilegi. Ma il mercato continua a non sorridere ad Alitalia, la quale da tempo ha ceduto a Ryanair il primato tra le aerolinee operanti in Italia. Nel corso del 2015 la compagnia irlandese ha trasportato 29,7 milioni di passeggeri nel nostro Paese, Alitalia circa 23 milioni seguita da altre due low cost, la britannica Easyjet e la spagnola Vueling, mentre guadagna rapidamente posizioni l'ungherese Wizzair.

Proprio la concorrenza di queste compagnie è il nemico principale di Alitalia. Etihad le ha ritagliato un ruolo che è sostanzialmente quello della navetta tra i vari aeroporti nazionali e Fiumicino, il grande «hub» della compagnia da dove decollano i voli a lungo raggio. Roma come punto di raccolta dei passeggeri e Alitalia come cinghia di collegamento interna. Tuttavia la presenza dei vettori a basso prezzo nelle tratte a corto raggio conquista sempre più spazio.

È una lotta all'ultimo sconto, a chi lascia meno posti vuoti a costo di ridurre all'osso i servizi e l'assistenza a bordo. Una guerra di tagli. Che i dipendenti Alitalia non vogliono combattere perché significa perdere una serie di privilegi, eredità della lunga stagione in cui piloti e assistenti di volo godevano di trattamenti extralusso. I «capitani coraggiosi» di Colaninno e ora gli emiri di Abu Dhabi hanno sfoltito la selva di privilegi. Ma c'è ancora molto lavoro da fare.

IL PRIVILEGIO DEI VIAGGI GRATIS

Il personale di volo viaggia gratis per raggiungere la base di partenza anche se per contratto dovrebbe abitare nel raggio di 50 chilometri dal posto di lavoro per garantire la reperibilità. Un privilegio che non ha uguali al mondo e che Alitalia vuole togliere: le altre compagnie praticano tariffe agevolate o quantomeno caricano le spese vive come le tasse aeroportuali. Il fatto è che, all'arrivo di Etihad, Alitalia aveva sei basi operative: Roma, Milano, Torino, Napoli, Venezia e Catania, le ultime due aperte dopo il salvataggio del 2009.

Ora gli emiri hanno concentrato l'attività su Milano e Roma. Il personale di volo che gravitava sulle quattro basi chiuse dovrebbe fare i bagagli e trasferirsi vicino ai due «hub». Tuttavia la maggior parte rifiuta sia di traslocare sia di pagarsi il viaggio anche in parte - per recarsi al lavoro. Escludono perfino di versare le addizionali d'imbarco, che rappresentano un costo aggiuntivo per l'azienda. Il paradosso è che una quota di queste sovrattasse legate all'operatività degli scali va ad alimentare un altro dei privilegi dei dipendenti Alitalia: la cassa integrazione dorata.

NIENTE TETTO PER LA CIG

Quando i cosiddetti «capitani coraggiosi» salvarono Alitalia dal crac, i sindacati strapparono al governo Berlusconi vantaggi fiscali e operativi, tra cui condizioni di favore per le migliaia di dipendenti dichiarati in esubero. A un povero cristo di cassintegrato «normale» spetta un'integrazione pari all'80 per cento della retribuzione con un tetto di 1.168 euro lordi mensili per due anni prorogabili di altri due. Invece per il personale Alitalia ammesso agli ammortizzatori sociali (staff, impiegati di scalo, operai e tecnici specializzati eccetera) il tetto è volato via. Essi incassano l'80 per cento dello stipendio per 7 anni.

Il Fondo speciale per il trasporto aereo (Fsta) da cui viene attinta questa massa di denaro è alimentato solo in minima parte da contributi a carico del datore di lavoro e dei lavoratori: la quasi totalità proviene da una sovrattassa di 3 euro sborsata da ogni passeggero (di qualsiasi nazionalità) che decolla da uno scalo italiano. Perciò, mentre evita di pagare un biglietto anche a prezzo di favore - per recarsi al lavoro, il personale di volo rimasto in servizio rifiuta anche di versare un ulteriore contributo di solidarietà ai colleghi cassintegrati.

I numeri del Fsta sono resi noti dall'Inps. Il valore del fondo viaggia sui 230-250 milioni di euro: più del finanziamento annuo per la lotta alla povertà erogato attraverso il sostegno di inclusione attiva. Un pilota con uno stipendio di 10mila euro al mese, di cui circa 4mila euro di indennità di volo, versa al Fondo un contributo di 7,5 euro mensili, ma se fosse collocato in cassa integrazione o in mobilità ne guadagnerebbe 8mila. Nel 2015 il bilancio preventivo del Fsta ipotizzava di incassare 5,95 milioni da aziende e lavoratori e altri 230 (pari al 97,5 per cento) dall'addizionale sui diritti d'imbarco.

L'importo medio delle indennità percepite dal personale di volo cassintegrato è di circa sei volte superiore a quello del personale di terra. Il picco è stato raggiunto nel 2012 con 17.613 prestazioni complessive, di cui 896 tra 5.000 e 10.000 euro lordi mensili, 399 tra 10mila e 20mila e 35 superiori a 20mila. Lo scorso 7 aprile un decreto interministeriale ha trasformato il Fsta in Fondo di solidarietà con una leggera riduzione delle prestazioni a decorrere dal 1° gennaio 2016. Ma agli inizi dello scorso luglio il governo non aveva ancora emanato le circolari attuative. Le aziende non sanno come comportarsi e i cassintegrati dicono i sindacati ricevono soltanto una parte dell'assegno sociale.

PENSIONI D'ORO

Accanto agli ammortizzatori sociali di lusso, anche le pensioni incassate dal personale Alitalia sono di assoluto riguardo. Già nel 1995 i dipendenti erano riusciti a evitare la scure della riforma Dini, mantenendo il privilegio di poter andare in pensione a 47 anni con appena 23 di contributi. E magari continuare a lavorare con altre compagnie in altre forme. Ancora adesso piloti, hostess e tecnici di volo vanno in pensione prima e con minore anzianità di servizio rispetto agli altri lavoratori. Ora una ricerca voluta dall'Inps evidenzia che il 98 per cento delle pensioni erogate dal Fondo volo sono più alte rispetto ai contributi effettivamente versati. Se fossero calcolati con il sistema contributivo, gli assegni di quiescenza sarebbero inferiori del 30 per cento rispetto agli attuali.

IN TROPPI A BORDO

Altro privilegio sopravvissuto alla prima stagione di tagli riguarda il personale di bordo. Attualmente sui voli a lungo raggio gli assistenti di volo sono 9 e i piloti 4. Etihad vorrebbe togliere un assistente e un pilota, adeguandosi agli standard europei e quindi riducendo le spese. I sindacati naturalmente si oppongono in quanto le modifiche non tengono conto del contratto di lavoro esistente.

L'ORARIO SI ALLUNGA

Altro adeguamento alle regole comunemente applicate dalle altre compagnie riguarda l'orario in cui il personale di volo deve presentarsi in aeroporto prima del decollo. Alitalia vuole anticiparlo di mezz'ora per i voli a lungo raggio e di 15 minuti per le tratte a medio raggio. Anche qui si tratta di allineare alla concorrenza una condizione di favore. Il personale si oppone perché chiede un aumento di stipendio.

Orari, numeri del personale di bordo, spese di viaggio sono tra i motivi dello sciopero del 5 luglio. Si aggiunge un'ultima ragione di lamentela: le nuove divise Alitalia.

Le sigle dei lavoratori non contestano l'estetica (benché in effetti sia discutibile) ma la fattura: sarebbero pesanti, scomode, tessute in materiale sintetico anziché in fibra naturale. E soprattutto non sono state concordate con i sindacati.

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