Allarme a Parigi, week end blindato

La botta è brutta: 49 dei suoi laburisti alla Camera dei Comuni assieme ai deputati conservatori e liberali hanno bocciato il provvedimento antiterrorismo da lui stesso presentato. Tony Blair ha detto che per una buona causa si può anche perdere. In molti prevedono per lui tempi difficili. La proposta di un fermo fino a 90 giorni per i sospetti di terrorismo ha allarmato non solo la sinistra radicale ma, come si scriveva, ha anche imbarazzato i parlamentari moderati. D'altra parte la preoccupazione di difendere le garanzie di chi è accusato, è d'apprezzare: la libertà dei cittadini è preziosa, conquistata con fatica, ed è bene che sia particolarmente protetta.
Vi è però nei bocciatori di Blair una pericolosa sottovalutazione: la repressione in certi casi, oggi, non ha a che fare solo con devianze fisiologiche, ma fa i conti con cause planetarie, come osservava ieri Mikhail Gorbaciov sulla Stampa. E in particolare risponde a una sorta di stato di guerra internazionale che l'islamismo fondamentalista ha dichiarato all'Occidente. I giovani musulmani, cittadini britannici e figli d'immigrati, non fanno scoppiare bombe nel metrò inglese perché sono criminali di tipo tradizionale, bensì perché si considerano nemici della Gran Bretagna cristiana.
Se un buon codice penale rispettoso dei diritti è più che sufficiente ad affrontare le devianze fisiologiche, uno stato di guerra sia pure anomalo richiede un contrasto qualitativamente diverso. Un nemico non è un criminale, è un nemico non solo da reprimere ma anche da combattere. Scegliere come intervenire in questo campo senza indebolire le fondamenta giuridiche che proteggono le nostre libertà civili, non è semplice. Ed è giusto che le proposte di Blair provochino dibattiti accesi. Ma il contesto globale non può essere ignorato: la lunga deriva della sfida del fondamentalismo islamico all'Occidente non si è consumata. E le conseguenze riguardano la vita quotidiana delle nostre società occidentali. Certe preoccupazioni per fenomeni come l'immigrazione o i livelli di devianza minori in comunità locali, diventano molto più consistenti nel contesto di un mondo che non ha un suo saldo equilibrio pacifico. La manutenzione della legalità in ambiti esposti all'influenza islamista diventa decisiva: anche le esplosioni nelle banlieue parigine ci parlano di questo. In questo senso i comportamenti di amministratori responsabili come Sergio Cofferati vanno difesi con ancora più vigore.
E va considerato anche con più attenzione il comportamento politico di Nicolas Sarkozy, ministro dell'Interno francese, che definendo «racaille», feccia, i bruciatori di macchine delle banlieue avrebbe gettato benzina sul fuoco della rivolta. In Sarkozy, ma anche in Blair e in Cofferati, vi è, però, un'attenzione ai sentimenti della popolazione più esposta ai soprusi e alle trasgressioni della nuova illegalità: se una politica consolidata non risponde a questi stati d'animo, questi provocheranno incontrollate spinte reazionarie. In Francia alle ultime presidenziali il Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen è già arrivato oltre al 17 per cento.
In questo senso appaiono ciniche alcune affermazioni dell'ex prefetto, ora candidato a sindaco di Milano, Bruno Ferrante che ha schernito Gabriele Albertini e Cofferati su questi temi, e ha detto che «la tolleranza zero» non è la risposta.

Un po' di demagogia in campagna elettorale è inevitabile, l'esigenza di togliersi dalle spalle l'etichetta di poliziotto è comprensibile, però siamo in un periodo in cui le parole possono provocare grandi guai. Andrebbero misurate con più cautela (e stile).

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