L'idea non è male. Tanto seducente da portare con sé quel vago sentore delle cose «troppo belle per essere vere». In questo caso, realizzabili sul serio. Eppure nei palazzi altolocati della politica se ne parla da un po' e l'ideuzza si fa strada nonostante i tempi difficili.
Il primo a metterla in campo - in versione edulcorata e con modalità un po' troppo timide, per la verità - è stato l'ex presidente del Senato, Marcello Pera. «Perché non eleggere alle elezioni del 2013 un drappello di 75 saggi indipendenti che diano vita a una Costituente per riformare finalmente la nostra Carta?», si è chiesto Pera, sconcertato dal deludente dibattito sulle riforme visto a Palazzo Madama. Così si è fatto ricevere al Quirinale pochi giorni fa, e ha consegnato al Capo dello Stato un suo disegno di legge costituzionale atto all'uopo. «La Costituente avrebbe un anno di tempo per redigere la nuova Costituzione - ha spiegato in un'intervista alla Stampa -. Quel testo andrebbe poi sottoposto entro tre mesi a referendum senza quorum. E tutto il percorso avrebbe bisogno di un prolungamento del mandato presidenziale, fino alla promulgazione del risultato del referendum. Il percorso ha bisogno di una figura di garanzia, e perché diversamente il Capo dello Stato che verrà eletto dal Parlamento nel 2013 si troverebbe a essere delegittimato».
Tutto corretto, dal punto di vista istituzionale. Senonché, da quello pratico, c'è chi pensa che bisognerebbe andare ancora più a fondo. I presupposti da cui partire sono diversi, e una soluzione ancora più radicale avrebbe il pregio di risolverne la maggior parte. Anzitutto, la difficoltà dimostrata dal Parlamento di riuscire a cambiare le regole costituzionali. Non è storia soltanto di questa legislatura (peraltro giunta agli sgoccioli e con legittimazione assai dubbia), in quanto sono almeno 26 anni che si tenta inutilmente di mettere mano alla Carta: dalla commissione Bozzi a quella De Mita, alla Bicamerale di D'Alema. Fiaschi su fiaschi. La strada maestra, come sostenuto dai maggiori costituzionalisti, resta quella di una Costituente: sia per la qualità di coloro che potrebbero essere chiamati a varare nuove regole, sia per il voto popolare che ne determinerebbe una legittimazione rafforzata.
Ma poi ci sono le questioni politiche, che in molti Palazzi sono ritenute vitali. In primo luogo, la crisi economica: se le cure da cavallo del governo tecnico di Monti facessero intravvedere risultati (come si spera), come poter tornare all'antico? Far vanificare gli effetti delle lacrime e sangue degli italiani dalle solite coalizioni rissose, dai soliti politici spendaccioni, magari eletti per l'ennesima volta grazie a una pessima legge elettorale? Lasciare ancora per un po' il timone al professor Monti potrebbe essere indispensabile per condurre in porto il processo di risanamento che l'Europa ci ha chiesto. Ma servirebbe anche a rasserenare del tutto gli animi: basterebbe un anno, un anno e mezzo in più. Dunque, proprio il tempo di un approfondito e compiuto lavoro costituente.
Ma c'è di più.Sia per colpa della legge elettorale, sia per quanto la Casta dei politici ha fatto vedere in questi mesi, il rischio paventato in molti Palazzi istituzionali è quello di un prossimo Parlamento del tutto ingovernabile (con prevedibile riaccensione della spirale speculativa sui mercati finanziari). Pericolo che trapela chiaro anche dalle parole di Pera, cui non interessa per nulla il taglio dei parlamentari. «Il punto non è quanti sono, ma che cosa fanno i parlamentari italiani - dice Pera -. Il punto è che il Paese funzioni, che la democrazia funzioni. Ormai le assemblee non legiferano più, ratificano quel che arriva dall'Euiropa e che il governo trascrive in decreti legge. Siamo in una democrazia parlamentare solo nominale. Non so se ci si rende conto poi che, aprescindere dal numero, il prossimo Parlamento sarà ingovernabile. Avremo una ventina di parlamentari di Grillo, una ventina di Di Pietro, tre Verdi e cinque non di Rifondazione ma di Diliberto. Qualunque governo sarà in condizioni peggiori dell'ultimo Prodi».
Pera forse è fin troppo ottimista. I «grillini» nel prossimo Parlamento dovrebbero essere un centinaio, e per la maggior parte a digiuno di regole parlamentari. Ce n'è abbastanza da temere il blocco dell'attività parlamentare. Al punto che, considerata una possibile convergenza di interessi (il Pdl in confusione, il Pd imballato, la Lega in disarmo), potrebbe prendere corpo l'idea un po' singolare - ma non impossibile - capace di salvare capra e cavoli.
Qual è? Trasformare le Politiche del 2013 nell'elezione di un'«assemblea costituente», che avrebbe il mandato di varare le riforme entro un anno. Una «trasformazione» di natura politica, più che istituzionale, nel senso che dichiaratamente i partiti maggiori si dovrebbero impegnare a prolungare la vita del governo Monti, chiunque vinca, e a fare la campagna elettorale sulle riforme. Il tipo di contesa costringerebbe i partiti a presentare come candidati esperti in materia costituzionale, invece che portaordini e spingitasti. Nascerebbe così una specie di «Parlamento di tecnici», che al primo punto della loro attività avrebbero le riforme.
Le forze politiche attuali dovrebbero mettersi d'accordo soltanto su due punti, chiaramente essenziali: l'impegno ad allungare di un anno la vita al governo tecnico e quello a prorogare il mandato presidenziale di Napolitano fino all'esito del referendum confirmativo della riforma costituzionale. Fatto questo, alle Politiche 2013 potrebbe vincere il migliore. Anzi, i «migliori». E nel 2014 nascere, finalmente, la Terza (o Quarta?) Repubblica.
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