Armi, da Meloni un ok cauto al piano. I dubbi di Giorgetti e il nodo target 2%

Il ministro: il ReArm Europe è frettoloso e senza logica. Nuove tensioni tra Tajani e Salvini. Per la premier le spese devono rientrare nel calcolo dell'obiettivo spese militari/Pil

Armi, da Meloni un ok cauto al piano. I dubbi di Giorgetti e il nodo target 2%
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Il vertice di maggioranza voluto da Giorgia Meloni martedì sera doveva essere l'occasione per fare il punto con gli alleati sulla situazione in Ucraina e sul piano ReArm Europe proposto da Ursula von der Leyen. Con l'obiettivo non certo di mettere d'accordo sensibilità che restano diverse, ma almeno di provare a muoversi in modo coordinato in vista del Consiglio europeo straordinario in programma oggi a Bruxelles. Niente da fare. Non solo i due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini continuano ad avere posizioni diametralmente opposte, ma pure il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti decide di manifestare le sue perplessità e si dice contrario a «un piano di difesa frettoloso e senza logica». Una presa di posizione che fa rumore, non solo perché arriva da chi ha in mano i cordoni della borsa del governo ma anche perché Giorgetti si muove in scia a Salvini, confermando la netta contrarietà della Lega alla proposta von der Leyen.

Pubblicamente, Meloni sceglie di non prendere posizione. Anche se chi ha avuto occasione di sentirla assicura che la premier ha un approccio «moderatamente favorevole» al ReArm Europe. Certo, anche lei ritiene non azzeccata la scelta del nome (sarebbe stato meglio «Piano per la sicurezza europea», concorda Tajani) ed è consapevole di quanto il tema sia elettoralmente sensibile. È per questo - è la convinzione ai piani alti di Fratelli d'Italia - che Salvini lo sta cavalcando. Nel merito, ed è quello che cercherà di capire oggi a Bruxelles, c'è invece da fare chiarezza su una serie di dettagli per nulla incidentali del piano. A partire dalla tempistica per la restituzione di soldi che non saranno certo a fondo perduto, fino al cosa sarà possibile finanziarie e come (con quali strumenti monetari). Ma la premier chiederà chiarimenti soprattutto su un altro punto, perché per un via libera convinto dell'Italia è determinante che sia messo nero su bianco il fatto che le spese del ReArm Europe rientrino nel calcolo dell'obiettivo del 2% del Pil come spesa militare (che Meloni auspica di portare al 2,5%).

Al Consiglio europeo straordinario di oggi, però, la premier si presenta con alle spalle una maggioranza divisa. Al punto che, intercettato in Transatlantico, Tajani non esita a dire che «la posizione del governo su questi temi la dà in primo luogo la presidente del Consiglio e poi il ministro degli Esteri». E aggiunge: «Nessun altro. Punto». Con buona pace, è il non detto, di Salvini e Giorgetti. Che, in collegamento con il convegno del dipartimento economia della Lega che si tiene a Montecitorio, invita a non muoversi in preda alla «frenesia», altrimenti si ripeterà «quello che è successo con il Pnrr» dove «all'inizio sono state buttate dentro opere a caso, tanto per fare massa critica». Insomma, «per comprare un drone, un missile supersonico o un tank, non si va al supermercato ma servono investimenti pluriennali». Rincara la dose Salvini. «Fare debito per andare a comprare all'estero nuovi armamenti - dice il vicepremier - non è fare l'interesse nazionale». Che non è esattamente come la vedono Tajani e Forza Italia. «Se questo fosse un governo non europeista e non filo europeo - dice il ministro degli Esteri - io non ne farei parte. Non potrei mai stare in un governo anti-europeista, mi pare che sia chiaro».

Meloni, dal canto suo, cerca di muoversi tenendo insieme le distanze siderali dei suoi alleati. Nonostante la necessità di alcuni chiarimenti, la premier è sostanzialmente favorevole al piano. Ma ritiene sia importante sottolineare che investire in difesa non significa sottrarre fondi ad altri settori fondamentali come sanità, welfare o scuola. «Non sono cose alternative», spiega il ministro della Difesa. Mentre il vicepresidente della Commissione Ue Raffale Fitto sembra lasciare intendere che l'Italia non è intenzionata a utilizzare per la difesa i fondi di Coesione, visto che si tratta di una «possibilità» che può essere perseguita su «base volontaria» dai singoli Paesi.

Da oggi, dunque, si apre il confronto sul riarmo in Ue. Con il «no» dell'ungherese Viktor Orbán e i dubbi dello slovacco Roberto Fico.

E con Meloni che ribadirà la necessità di tenere ancorate Ue e Stati Uniti. Proprio ieri mattina, fonti vicine alla Commissione avevano definito «benvenuta» la proposta della premier di un summit sull'Ucraina con al tavolo Bruxelles e Washington.

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