Gli alleati: «Un errore non concordare la linea»

L’avvertimento di Fini: «Grave dividersi su questo tema». Formigoni: meglio votare una mozione nostra

da Roma

Lo strappo? Si digerisce masticando un po’ amaro, ma senza strilli e soprattutto senza mostrare eccessiva animosità, come da ordini di scuderia. Nel centrodestra lo si sospettava fin dal mattino, del resto, che l’Udc targata 2C (Casini-Cesa) avrebbe preso il largo, ma proprio per questo si è scelta la via di una civile presa di distanze.
Qualche ora prima dell’annuncio del sì udicino, ci aveva provato personalmente Gianfranco Fini - che con Casini resta in buoni rapporti - ad evitare che nel centrodestra si sparigliasse. «Chiedo a Forza Italia, Udc e Lega di aspettare il testo sul rifinanziamento delle missioni militari italiane e soprattutto di ascoltare prima la relazione di accompagnamento... sarebbe grave che la Cdl si dividesse sulla vicenda», aveva avvertito. Nulla da fare. Eppure il ragionamento del presidente di An era tutt’altro che peregrino: notava come «l’aspirazione di D’Alema di tener fede ai patti venisse a cozzare con la pretesa di discontinuità di settori della sinistra radicale, in coerenza con quanto loro richiesto nel passato». Si sarebbe dovuto attendere, per Fini, il risultato del braccio di ferro interno al centrosinistra per verificare chi l’avesse perso. Certo, aggiungeva il presidente di An, l’ostacolo Prodi e compagni avrebbero tentato di bypassarlo attraverso qualche «escamotage lessicale», ma al fondo si sarebbe intuito chi aveva vinto la partita. E ci si sarebbe potuti comportare di conseguenza.
E invece, nulla da fare. Nella riunione di direzione dell’Udc si è deciso l’appoggio comunque al rifinanziamento, anche se poi Casini ha cercato di mitigare la scelta di staccarsi dalla compagnia assicurando che il suo non sarà «un sì a scatola chiusa». E a questo punto? Presto per fare anticipazioni sul futuro della compagnia, anche perchè dalle sedi degli alleati (o già ex?) son partiti robusti inviti a lasciar da parte le polemiche. Si cerca di far finta di nulla in attesa di capire se il segnale resterà isolato o è davvero l’avvio di una nuova strategia centrista. Così il capogruppo di An alla Camera Ignazio La Russa si è limitato a definire «un errore» la scelta dell’Udc. Mentre in Forza Italia l’attenzione è rimasta concentrata sulle difficoltà crescenti di una maggioranza che aveva assicurato di aver trovato la quadratura del cerchio e invece, ancora a tarda sera, litigava sul testo del decreto, sul numero degli uomini da mantenere in Afghanistan, sulle pretese di inserire una clausola di exit strategy che per D’Alema non esiste. Critico sul «metodo» adottato dall’Udc è Roberto Formigoni: «La Casa delle libertà dovrebbe a mio avviso proporre una mozione che contempli il rifinanziamento della missione in Afghanistan, secondo tutte le specifiche di cui si parla in questi giorni, e non votare la mozione del centrosinistra».
«Il governo Prodi? È già alla respirazione assistita» si lasciava scappare la Bertolini. Rotondi, segretario democristiano, faceva sapere che lui, al contrario dell’Udc, mai e poi mai avrebbe votato con la maggioranza.

Antonio Leone, vicepresidente azzurro alla Camera si stupiva dello stupore del diessino Chiti per l’irrigidimento del Pdci: «Speravano davvero di riuscire ad imbrigliare Diliberto? È bene - proseguiva - che lo strappo a sinistra venga fuori in tutta la sua gravità». Ma sotto sotto è anche dell’altro strappo che si discute ampiamente nel centrodestra. Solo una scucitura o un ritorno alla tradizione dei vecchi pontieri dc che poi sbarcavano a sinistra?

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