Gli allievi di De Felice scrivono la storia su una nuova rivista

Dalla Guerra Fredda alla crisi degli euromissili, uno sguardo non ideologico sul mondo di oggi

Gli allievi di De Felice scrivono la storia su una nuova rivista

L’età contemporanea in generale, con la sua propensione quasi isterica all’ideologismo e al panpoliticismo, e il secondo dopoguerra in particolare hanno definitivamente sepolto l’innocenza - ammesso che mai sia stata davvero in vita. Per decenni è stato impossibile dire alcunché che non avesse un’immediata valenza partigiana, ossia che non fosse infine riconducibile all’Occidente o all’Oriente - e tutti quelli che ci hanno provato hanno prima o poi finito per essere considerati (e spesso essere «oggettivamente») o «utili idioti» inconsapevolmente asserviti a Mosca, oppure «esercito di riserva» dell’imperialismo americano. Su due casi specifici, e differenti l’uno dall’altro, di questa «perdita dell’innocenza» si ferma ora il secondo numero della rivista di storia Mondo contemporaneo, diretta da Renato Moro con la collaborazione di Giuseppe Conti, Luigi Goglia e Mario Toscano. Il primo caso, raccontato da Simona Colarizi, è quello del neutralismo socialista italiano ed europeo degli anni Cinquanta, e di come le istituzioni socialiste internazionali e le esigenze della Guerra Fredda abbiano condizionato i primi tentativi di unificazione fra Nenni e Saragat. Il secondo caso, di cui ci parla Giovanni Mario Ceci, è quello degli euromissili, dell’impatto che ebbero sulla fine della solidarietà nazionale e di come furono affrontati dal mondo cattolico e dalla Dc.
Negli anni del fronte popolare, per la verità, il neutralismo di Nenni innocente non lo era affatto - rappresentando com'è noto nient’altro che un modo a malapena velato di prendere le parti dell’Unione Sovietica. Non per caso il Psi dei tardi anni Quaranta e primi anni Cinquanta si oppose con forza al processo politico cui i socialisti dell’Occidente affidavano le maggiori speranze di svincolarsi dal bipolarismo Usa-Urss - ovvero l’incipiente integrazione europea. E non per caso, quando infine nel 1949, con decisione sofferta e tardiva, l’Internazionale Socialista decise di espellere il partito di Nenni e Morandi, fu anche perché nutriva il sospetto - nient’affatto infondato - che il Psi intendesse agire da quinta colonna del Cominform.
Ben più autenticamente neutralisti, seppure vani, i propositi che cominciarono a circolare negli ambienti del socialismo occidentale verso la metà degli anni Cinquanta, con l’attenuarsi della Guerra Fredda. È grazie a quei propositi, oltre che, ovviamente, alla rottura in Italia del fronte popolare, che il Psi poté infine riaprire una linea di dialogo con l’Internazionale Socialista. E che l’Internazionale - non sempre dimostrando per altro di capire davvero le poste in gioco della politica italiana - poté caldeggiare la riunificazione del Psi col Psdi, arrivando in qualche caso a scavalcare a sinistra il partito di Saragat, ben fermo nel chiedere a Nenni come prezzo dell’unificazione una inequivoca manifestazione di fedeltà atlantica.
Destinato al fallimento - se non altro in termini politici - fu pure il tentativo di ritrovare un’innocenza né occidentale né orientale che esperì il mondo cattolico italiano fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, di fronte alla questione degli euromissili. Anche in questo caso la vicenda si sviluppò in due tempi. In una prima fase, nel 1979, i movimenti cattolici si mostrarono assai uniti nell’avversare l’installazione dei missili - malgrado il silenzio della Chiesa, e trovandosi a dover rompere per la prima volta in maniera evidente con la Democrazia cristiana. Nella seconda fase invece, nel 1983, mentre la Dc tentava di rimettersi almeno in parte in sintonia con esso, l’associazionismo cattolico si spaccò profondamente lungo la frattura fra «istanze profetiche e istanze realistiche».

A quanti profeticamente sceglievano la linea della pace a ogni costo, si contrapponevano coloro per i quali la vera pace poteva consistere soltanto nella difesa ferma - culturale e se necessario anche militare - di una tradizione cristiana europea di cui l’oriente sovietico era nemico mortale.
Di nuovo, la dura realtà della Guerra Fredda denunciava l’innocenza di un’etica delle intenzioni, chiamando a una più esigente etica della responsabilità.
giovanni.orsina@libero.it

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