Ermenegildo Arena, l'uomo che si inventò il Settebello

Un viaggio in treno sul finire degli anni Quaranta, un gruppo di ragazzi e ragazze che si mescola, una battuta fortunata: così nacque il mito

Ermenegildo Arena, l'uomo che si inventò il Settebello
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Chi disse che le cose migliori sono sempre quelle sospinte dal caso, forse ci aveva preso in pieno. Certo, per capirsi a volte bisognerebbe esserci, dentro alle situazioni. Il balzo carpiato è prepotente. Italia deturpata dalla seconda guerra mondiale, appena uscita dall'apnea del conflitto, in movimento lento e oscillante per cercare di rimettersi in sesto. Siamo sul finire degli anni Quaranta. Treno che sbuffa lavorandosi la parsimoniosa costa ligure. Vagone affollato e rumoroso. Sui sedili centrali di quella carrozza se ne stanno stravaccati sette ragazzi giovani dalle spalle larghe e dai sorrisi ampi. Uno si riavvia i capelli, l'altro indugia con il tappo di una bottiglietta d'acqua, uno ancora sghignazza rammentando il successo che hanno appena messo via.

Se si potesse frugare nei borsoni stipati sopra le loro teste scoveremmo in fretta cuffie, accappatoi, costumi e ciabatte. Perché si dà il caso che quella chiassosa combriccola sia la spina dorsale della Rari Nantes Napoli. Tornano in locomotiva da una trasferta vittoriosa e questo li carica a maggior ragione. D'un tratto il treno inchioda per far salire a bordo altri mucchi di passeggeri. Tra la folla spicca un gruppetto composto da quattro ragazze tedesche che trovano posto proprio accanto ai nostri. La detonazione ormonale è inevitabile. Scoccano le prime battutine nella ancestrale lingua dei gesti. Poi inizia una partita a carte che cela maldestramente, è ovvio, altri intenti.

A capo di quello spassoso drappello di aitanti corteggiatori c'è Ermenegildo Arena. Napoletano spumeggiante, sulla trentina visto che è nato nel 1921, leader carismatico e tecnico di quella squadra. Estasiato da quel promettente quadretto si rivolge alle tedesche con un'esclamazione che avrebbe inciso la storia futura della pallanuoto italiana: "Noi siamo sette, sette e belli, siamo il Settebello!". Touché.

Arena
La nazionale azzurra oro alle Olimpiadi di Londra del 1948

Non troppo tempo dopo lo stesso Arena salirà verso la postazione dei telecronisti, alle Olimpiadi di Londra del 1948, per intercettare il divino cronista sportivo Nicolò Carosio. E, una volta trovato, gli chiederà esplicitamente di chiamarli così - il Settebello, appunto - da qui in avanti. Quello accetta divertito. Nel frattempo, in vasca, l'Italia sbraccia verso la medaglia d'oro. La nazionale gioca una pallanuoto talmente ariosa da costringere anche gli inglesi, che certo non stravedono per noi in quel frangente storico, a spellarsi le mani in segno d'approvazione.

Inizia così l'epopea di un soprannome che collimerà per sempre con gli azzurri. Un adesivo ancora più luccicante grazie alle imprese sportive affastellate con Arena in acqua. Lui, infatti, è lo zaffiro di una squadra vincente. Interseca un nuoto fluido, potente e rapidissimo, con intuizioni da fantasista dell'acqua dolce. Una volta che riesce a portarsi a ridosso della porta avversaria colpisce con sequenze mai banali - destro, sinistro alternati, oppure il famoso gancio "alla beduina", di spalle rispetto allo specchio - infilzando gli avversari con una sorta di fervore pittorico.

Un artista illeggibile, Arena, che in virtù di

quelle doti trascendentali otterrà il soprannome postumo di "Maradona della pallanuoto". Ma il colpo che galleggerà per sempre nella memoria comune resta quello segnato dentro al vagone di un treno che scendeva verso Napoli.

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