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"Una vita di pugni ma la boxe non è violenza. I giovani imparino la nobile arte"

Faccia a faccia con Nino Benvenuti. Il re del ring compie 86 anni. "Sto bene, ma quando arriverà l'ultimo round sarò pronto. È inevitabile. Attendo senza paura"

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«Dopo un`esistenza sul ring, continuo a prendere a pugni la vita. Sto bene, ma quando arriverà l`ultimo round sarò pronto. È inevitabile. Attendo senza paura...».
Nino Benvenuti festeggerà venerdì 26 aprile l`86esimo compleanno. Da tempo non concede interviste, ma - insieme con la figlia Nathalie - ripercorre col Giornale i momenti chiave della sua esistenza guerriera.

Campione olimpico dei pesi welter nel 1960, campione mondiale dei pesi superwelter tra il 1965 e il 1966; campione europeo dei pesi medi tra il 1965 e il 1967; campione mondiale dei pesi medi tra il 1967 e il 1970; nel 1968 ha vinto, unico italiano, il prestigioso premio di Fighter of the year.

Combattente fin da piccolo: «Non ho mai sognato altro che di fare il pugile». La boxe come vocazione, espressa con l`eleganza di chi ha esaltato la noble art: «Il nostro sport non ha nulla a che vedere con la violenza fine a se stessa. Un concetto fondamentale che, insieme con mia figlia e la Federazione pugilistica, divulghiamo tra i giovani. La nobile arte andrebbe studiata e amata».
Nino vive a Roma e ogni sua frase è un palpito di sentimenti; come quello per il suo storico nemico Griffith, diventato amico quando Emile si ritrovò solo, povero e malato: «Con lui mi sono battuto tre volte, stargli vicino nel momento del bisogno mi ha insegnato tanto».

Nino Benvenuti campione del mondo
Nino Benvenuti campione del mondo

Da istriano esule porta sulla pelle le cicatrici della guerra, tanto da scrivere su questo orrore un libro con Mauro Grimaldi, L`isola che non c`è. Il mio esodo dall`Istria: «La famiglia fu deportata. L`incubo delle foibe ancora oggi mi assale di notte... Rivedo mio fratello preso dalla polizia titina e portato via. Le lacrime di mia madre. Poi, il suo ritorno a casa. Era uno scheletro».
Ma Nino, nonostante i drammi familiari, ha trovato la cura per lenire le tragedie col balsamo della condivisione. Pacificandosi col mondo e, forse, anche con se stesso. «Forse».
Perché la felicità non è solo l`oro olimpico nel `60 o il titolo mondiale nel `67 (18 milioni di italiani svegli per seguire la radiocronaca di quella notte magica di aprile), ma la «consapevolezza del dolore altrui»: «Per questo ho trascorso tre mesi in un lebbrosario indiano. Lì, dinanzi alla vera sofferenza, ho capito quanto ero fortunato».

Poi c`è la morte che sgrezza ogni ruggine. Nino questa filosofia l`ha fatta propria, volando nel `95 in Argentina per l`ultima carezza alla bara di Carlos Monzon: «L`unico a battermi due volte. Dopo la seconda, chiusi con la boxe. Ma meritava il mio rispetto».

Benvenuti pugile e uomo leale pure con chi, come il rivale Sandro Mazzinghi, contestò il verdetto ai punti del dicembre `65 quando Nino lo sconfisse per la seconda volta: «Siamo stati il Coppi e il Bartali del pugilato. Tra noi, qualche incomprensione di troppo. Ma quando sono stato male, lui ha chiesto notizie di me. E io al suo funerale ho versato lacrime sincere».
Ma L`orizzonte degli eventi (titolo di un altro suo libro biografico ndr) spazia oltre le montagne dello sport. Campione coi guantoni, ma anche col microfono come commentatore tv a bordo ring: «Non solo per fare la cronaca dei match, ma anche per far passare il messaggio che il pugilato non è forza bruta ma una nobile arte che può fare da scuola di vita per i giovani sotto il profilo etico e sportivo».

L`esempio di Nino è emblematico: «Sono cresciuto attraverso i valori della boxe, mi hanno forgiato come atleta e come uomo, facendomi capire che i risultati arrivano solo attraverso impegno e sacrificio».
Poi c`è il Nino Benvenuti «privato», a cui l`86enne ex boxeur di oggi guarda tra nostalgia e rimpianto. A riaprire «vecchie ferite causate da errori e colpe del passato» c`è la pagina di un giornale: carta vetrata che graffia l`anima.

Settembre 1968. Sulla copertina di Novella 2000 la foto in bianco e nero di una donna bellissima (miss Emilia 1967) con la figlia appena nata.
La mamma si chiama Nadia Bertorello, Nathalie il nome della bimba. Ma Nino è già sposato e nell`Italia bigotta degli anni `60 non è facile. Perfino il Papa lo addita a «esempio immorale».
«Dopo un`assenza durata 30 anni - ricorda Nino - mi presentai da Nadia: "Vuoi sposarmi?". Lei disse subito sì. Poi, sempre insieme. Con gioia. Averla persa lo scorso anno mi ha lasciato un vuoto incolmabile». Ma a riempire quel vuoto rimane la figlia, abbracciata la prima volta quando ormai la bambina era diventata donna, e che adesso ha lo stesso viso dolce e fiero di mamma Nadia.

A Nathalie il papà ha espresso un desiderio: «Quando arriverà l`ora, vorrei che le mie ceneri fossero sparse dallo scoglio di Isola d`Istria dove ho imparato a nuotare da bimbo. E così potrò ricongiungermi per sempre con mia moglie Nadia».

Tra Nino e la figlia, un gesto d`intesa.

Che sa di amore.

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