"Altro che inchiesta Covid. Il Paese deve ringraziare"

Il primario di rianimazione: "Sono allibito. Da Fontana nessun errore di rilievo penale"

"Altro che inchiesta Covid. Il Paese deve ringraziare"

Antonio Pesenti era primario del reparto di Anestesia e terapia intensiva adulti del Policlinico di Milano, e membro del Cts di Regione Lombardia quando scoppiò l'epidemia:

come commenta gli avvisi di garanzia a seguito dell'inchiesta Covid?

«Sono sconcertato perchè pensavo che questa vicenda sarebbe stata archiviata».

La Lombardia non ha fatto abbastanza per contenere l'epidemia?

«Dal mio punto di vista parziale, non solo l'Italia ma l'intera Europa dovrebbe ringraziare la Lombardia per quanto è stato fatto».

Si parla di un piano pandemico che non sarebbe stato rispettato...

«Quale piano pandemico? Io non l'ho letto, ma forse è stata una mia negligenza. E poi bisognerebbe dimostrare che il piano pandemico del 2006 fosse meglio di quanto fatto. Comunque io non credo che questa inchiesta sia utile».

In che senso?

«Se mi si chiede cosa è stato sbagliato io non so identificarlo. Il reale problema con cui ci siamo dovuti scontrare è stata la mancanza di materiale. I tamponi non c'erano e le indicazioni che ci arrivavano dalla Cina era di fare diagnosi con la Tac, che ha un valore probabilistico».

Quando sono arrivati i tamponi?

«Non mi ricordo esattamente, ma tempo dopo. Forse c'era qualche tampone molecolare, ma sicuramente non era pensabile fare all'epoca uno screening alla popolazione. Dopo che l'anestesista di Codogno, Annalisa Malara ha diagnosticato il Covid al paziente 1 si è capito che l'epidemia circolava già in Lombardia».

È stato fatto secondo lei tutto il possibile per curare e gestire al meglio la situazione?

«Possibile non so, è stato fatto molto di straordinario, come chiudere le sale operatorie per ricoverare tutti i malati».

Si riferisce a qualche altra azione straordinaria? A me viene in mente l'ospedale in Fiera Milano.

«L'ospedale in Fiera è stato aperto il 1 aprile, mi pare, quando il picco della prima ondata stava iniziando a scendere. Quell'ospedale era stato pensato come una scialuppa di salvataggio e per fortuna non ha mai dovuto assolvere a quella funzione, ma è stato usato come un vero ospedale».

Il governatore Fontana aveva una sufficiente quantità di informazioni per potere decidere se istituire o meno una zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo secondo lei?

«Io credo che Fontana non avrebbe dovuto ricevere alcun avviso di garanzia, o meglio credo, anche se le mie idee politiche non coincidono con le sue, che non abbia commesso nessun errore di rilievo penale. È stato anche ipotizzato che il picco di contagi nella Bergamasca sia stato originato da una partita di calcio, non mi ricordo quale (Atalanta-Valencia del 19 febbraio a San Siro e Albino-Codogno del campionato di Eccellenza del 9 febbraio, ndr). Di Nembro e Alzano si è iniziato a parlare comunque dopo. Il governatore aveva il sospetto che andassero fatte delle cose...».

Cosa intende dire? La situazione non è stata sottovalutata?

«La situazione è stata valutata anche tenendo conto di chi diceva che si trattava solo di un'influenza o che bisognava andare a prendere l'aperitivo. Forse non tutti si ricordano che informazioni scientifiche in quel periodo non ce n'erano e che si diceva tutto e il contrario di tutto. Non solo...».

Cosa?

«Insisto: credo che la Lombardia andrebbe premiata per quello che ha fatto. Le dico solo che la comunità scientifica delle terapie intensive ha premiato Maurizio Cecconi, presidente della Società europea di terapia intensiva (Esicm), che come speaker degli intensivisti lombardi ha spiegato al mondo cosa si doveva fare».

Dal suo tono ironico sembra che lei sia amareggiato...

«Credo che questa indagine abbia un valore catartico».

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