Un altro grande che la critica sottovalutò

È stata lunga e densa (oltre ottanta film), ma essenzialmente da comprimario la carriera cinematografica di Aldo Giuffré, morto l’altra notte, quando ormai da oltre un quarto di secolo mancava dal cast di un film di successo. Abbastanza perché solo chi ha vissuto mezzo secolo si ricordi di lui.
Per l’attore napoletano l’esordio avvenne alla radio quando per abitudine la si chiamava ancora Eiar, anche se il Regno d'Italia era agli sgoccioli: infatti gli toccò raccontare la resa tedesca in Italia nella primavera 1945, la più cruenta dall’unità nazionale. Ma Aldo Giuffré aveva, oltre a una voce suggestiva, una bella presenza. Così nel 1947 fu accanto ad Anna Magnani, per la regia di Mario Mattoli, nella terza versione per il grande schermo di Assunta Spina (1948); poi Aldo Giuffré recitò per Eduardo De Filippo in Napoli milionaria e in Filumena Marturano.
Ma la collaborazione più costante e intensa per Aldo Giuffré fu quella con Mattoli in Totò sceicco, Tototarzan, Totò terzo uomo, Un turco napoletano e ne Il medico dei pazzi. Quanto agli incassi, altri film importanti con Giuffré furono Totò all'inferno di Camillo Mastrocinque e Totò contro il pirata nero di Fernando Cerchio. Inizialmente sottovalutato dalla critica, poi apprezzato con oltre vent'anni di ritardo con Guardie e ladri di Steno e Mario Monicelli.
Altri noti registi che diressero Aldo Giuffré furono Roberto Rossellini nel dimenticatissimo La macchina ammazzacattivi; Francesco Rosi ne I magliari; Duilio Coletti nel Re di Poggioreale; Vittorio De Sica in Ieri, oggi, domani; Sergio Leone ne Il buono, il brutto e il cattivo; Antonio Pietrangeli in Questi fantasmi; Pasquale Festa Campanile in Scacco alla regina; Florestano Vancini in Violenza: quinto potere; Luigi Zampa in Gente di rispetto; Alberto Lattuada in Oh, Serafina!; Nanni Loy in Made in Italy e Mi manda Picone. Opere fra l’insolito e l’importante, l’irrisolto e il velleitario; più difficile distinguere l'incidenza che vi ebbe Giuffré. Furono dunque quelli napoletani i suoi personaggi prevalenti. Del resto Aldo Giuffré s’era fatto un nome nel teatro dialettale, poi in quello non dialettale e infine nelle serie tv della Rai.
Prestante quanto il fratello Carlo, Aldo è stato giovane troppo presto, quando il cinema italiano rinasceva. Ma allora, per un giovane meridionale, la scelta si limitava alle parti di cafone, camorrista, magnaccia, emigrante o, nel migliore dei casi, modesto impiegato.
Fosse nato dieci anni dopo, Aldo non sarebbe stato sincrono a Eduardo e a Totò, ma avrebbe potuto competere per i ruoli di seduttore, quelli che sarebbero invece toccati con più fortuna al fratello (si pensi a La ragazza con la pistola di Monicelli, successo del 1968) e soprattutto a Lando Buzzanca, in quanto siciliano più meridionale ancora. L’unica notevole, ma breve, apparizione da settentrionale sul grande schermo non fu da italiano, ma da americano: come ufficiale nordista ferito ne Il buono, il brutto e il cattivo.

Se ne rammenta la battuta: «Chi ha più bottiglie per ubriacare i soldati e mandarli al macello, quello vince. Noi e quelli dall’altra parte del fiume (i sudisti, ndr) in comune abbiamo solo una cosa: la puzza d’alcool».

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