Federico Fellini ha compiuto ieri novantadue anni. Fantasia romantica e di nostalgia. Per quale ragione? Rivedendo l’immagine della Costa Concordia, ascoltando le voci e le sensazioni di queste ore, ma oltre la tragedia, con il racconto di quella navigazione, dell’inchino, di un rito marinaro, torna alla mente Amarcord e il passaggio del Rex, ecco l’abbraccio con Fellini e, insieme, con Tonino Guerra, autori del soggetto e della sceneggiatura del premio Oscar al miglior film straniero del millenovecentosettantaquattro. Indimenticabile e attuale è la scena del Rex che appare, maestoso, inquietante, e magico, assieme alle sue mille luci, al fumo bianco dei due camini, nella notte di Rimini, con il paese raccolto e in attesa fanciullesca, sulle barche, piccoli vascelli che accolgono Gradisca, Titta, suo padre Aurelio, il proprietario del cinematografo Fulgor, il cieco di Cantarel con la fisarmonica, il popolo dell’amarcord felliniano, tutti là, in mezzo al mare, un luna park per godersi lo spettacolo, un saluto, un bacio, il sogno di salire a bordo e di partire per un viaggio chissà dove, chissà perché, sul piroscafo, sul bastimento carico di.
Il Rex era storia diventata subito leggenda, duecentosessantotto metri di nave, trentasette di altezza per cinquantamila e cento tonnellate, il terzo mercantile al mondo, Nastro Azzurro per il record di traversata atlantica, da Gibilterra a New York in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti, prima di essere affondato, nel settembre del Quarantaquattro, dagli aerei della Royal force britannica e definitivamente demolito negli anni successivi.
«Eccolo, babbo, babbo, il Rex! Il Rex!», l’urlo festoso, improvviso, rompe il silenzio, eccolo «Viva il Rex, la più grande realizzazione navale del regime. Rappresento il podestà, vi auguro buon viaggio, viva l’Italia», Aurelio si sbraccia, agita il capello di paglia; Rimini, come il Giglio, è sveglia, è in piedi, saluta, lancia baci, il cieco di Cantarel apre e chiude la fisarmonica non potendo illuminare gli occhi offesi e chiedendo attorno, ai suoi compagni di festa, di raccontargli l’apparizione: «Com’è? com’è?». È il Rex che fa l’inchino, con il suono delle sue cupe sirene che mettono paura nel buio della notte romagnola. Non è ferito, non imbarca acqua, non prepara le scialuppe. Sfila, lentamente, con eleganza, scompare, silenzioso, così come era apparso, le barche ondeggiano appena, come di carta perché tutto era finto, di plastica e cartongesso nel teatro di Cinecittà, ma il sogno no, quello era profondo, vero, nel film e nella fantasia dolce di Fellini e di Tonino Guerra che, oggi, così ricorda, con fierezza e ironia: «Il Rex non è mai passato nelle acque dell’Adriatico davanti a Rimini ma era il bastimento che raccoglieva il desiderio, il sogno magico di quel borgo, di quella gente, di un viaggio sul mare, a bordo della nave dei signori. Quella gente mai aveva visto il Rex, Federico e io scegliemmo di proseguire il sogno». L’inchino di Amarcord non fu tragico.
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