"Amelia", la femminista volante sparita nel nulla

Arriva in Italia il film dedicato alla Earhart, l’aviatrice amica di Eleanor Roosevelt che morì nel 1937 sul Pacifico Hillary Swank dà il volto alla Lindbergh in gonnella che fu anche pioniera delle "griffe". E la somiglianza è incredibile. Fu la prima donna ad attraversare l’Atlantico guidando un aeroplano

"Amelia", la femminista volante sparita nel nulla

L’Amelia del film di Mira Nair che uscirà venerdì è Amelia Earhart, l’aviatrice di Roosevelt che scompare, non «la fattucchiera che ammalia» delle storie italiane di Paperino. La sua sfortunata vicenda torna sul grande schermo, a settant’anni dalla morte, come quella di una femminista intraprendente, più che come quella di un’opportunista temeraria. Ma lei è stata entrambe le cose.
Hilary Swank poteva orientare diversamente dalla retorica questo film, da lei stessa prodotto e interpretato? Forse no, se voleva trovare una distribuzione...

Vita avventurosa e fine misteriosa della Earhart (1897-1937) avevano già ispirato Flight for Freedom («Volo per la libertà») di Lothar Mendes. Ma lì Rosalind Russell non era dichiaratamente la Earhart: era «Tonie Carter», aviatrice che fingeva di perdere la rotta per fotografare una base giapponese nelle isole Marshall. Scritto e girato nel primo anno della guerra americana al Giappone, il film di Mendes spiegava, almeno ufficiosamente, la missione affidata alla Earhart. La sua morte presunta era stata dichiarata già nel 1939. Ma restava oscuro perché e come. Ancor oggi negli Stati Uniti circolano varie spiegazioni: che non sia morta nel 1937 e che, ormai vecchia, sia rientrata silenziosamente in patria; che l’abbia stroncata la sete su un’isola dove aveva fatto un atterraggio di fortuna; che sia stata fucilata dai giapponesi; che i medesimi l’abbiano convinta a fare la disc-jockey, col nomignolo di «Tokyo Rose», in un noto programma propagandistico diretto alle truppe americane nel Pacifico...

In epoca di altre guerre, quella del Vietnam e la prima di quelle dell’Irak, il ricordo della Earhart era stato affidato a due film-tv. L’aviatrice trovava infine nome e cognome perfino nel titolo: nel lavoro di George Shaefer (1976) era interpretata dalla spigolosa Susan Clark; in quello di Yves Simoneau (1994) era Diane Keaton a darle un volto più dolce. Se quest’ultima somigliava alla Earhart, la Swank è addirittura una sosia e ciò col semplice aiuto del pettine e degli abiti.
Improbabile però che alla Swank tocchi con Amelia un Oscar come quelli avuti per Boys Dont'Cry e Million Dollar Baby, poiché Mira Nair ha reso la storia della Earhart, interessante se presa sul lato avventuroso, un polpettone sentimentale. Comunque il ruolo della Swank rimane il solito - l’androgina dalla brutta fine - anche quando lei avrebbe potuto darsene un altro. L’idea di rendere brillante l’interminabile prologo non ha sfiorato né la Swank, né la Nair, sebbene il triangolo fra la Earhart, il marito George Putnam (Richard Gere) e l’amante Gene Vidal (Ewan McGregor) offrisse l’occasione di metterla, talora, sul ridere. Invece le ipocrisie di Hollywood hanno prevalso ancora: non si può far ruzzolare in un paio di letti un’eroina attesa dall’estremo sacrificio. E poi Hollywood si sottrae, sì, lentamente alla condanna dell’adultera, ma le mancano i fondamentali per la pochade. E non sa rinunciare agli stereotipi, li capovolge soltanto: mostra sistematicamente eroici e buoni i personaggi che prima mostrava sistematicamente vili e cattivi. Col solo risultato di renderli più stucchevoli.

Mito dell’America, in Italia quasi ignota, la Earhart pilotava così così. Era più brava nel darsi un’immagine. Sposò George Putnam, venale pigmalione, figlio del noto editore newyorkese, che aveva mani in pasta anche a Hollywood. Del resto lei veniva dalla provincia, era carina, ma non più tanto giovane e ricca non era stata mai. Per di più gli aerei costavano, sebbene i prezzi che si sentono nel film sembrino molto esigui - effetto del mutato potere d’acquisto del dollaro - rispetto a quelli di oggi. Dunque, senza quel sodalizio professionale, più che sentimentale, la Earhart non avrebbe potuto coltivare quello più sentimentale che professionale con Vidal, padre di Gore (William Cuddy), futuro autore di libri corrosivi sul potere a Washington. Con cognizione di causa: fu infatti la Earhart, come amica (fino a che punto?) di Eleanor Roosevelt, moglie del presidente, a consentire a suo padre di diventare una sorta di ministro dell’aviazione civile, il primo negli Stati Uniti.

Nordica, sottile, slanciata, la Earhart era la versione femminista e progressista del maschilista conservatore Charles Lindbergh. Ma nemmeno lei avrebbe disdegnato l'incontro con Hitler, se, anziché a Parigi, il suo aereo avesse potuto portarla fino a Berlino.

Né lei disdegnò di servirsi della fama di pioniera dell’aria, anche quando non era lei a pilotare, per diventare imprenditrice, lanciando fra l'altro una linea di abbigliamento sportivo, in sintonia col suo stile di vita. Amelia fu pioniera anche in questo.

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