«Gli americani tornino a casa ora l’Irak deve fare da solo»

Bagdad«Se sarò nominato premier affronterò prima di tutto il problema della sicurezza perché senza di quella un Paese non sopravvive. Subito dopo cercherò di aumentare il potere d’acquisto delle famiglie perché quando nelle case non c’è da mangiare garantire la legalità è ancor più difficile». Sei anni fa era l’uomo forte di Bagdad, oggi è pronto a tornare ad occupare la vecchia poltrona di primo ministro, ma anche a diventare il simbolo della riconciliazione nazionale. Lui si chiama Iyad Allawi e nei suoi 65 anni di vita è sopravvissuto prima ai killer di Saddam Hussein e poi a quelli di Al Qaida. Figlio di uno dei protagonisti della lotta per l’indipendenza, Allawi è anche il simbolo della complessità e delle contraddizioni di questo Paese. Nato da una famiglia sciita, ha iniziato la sua carriera come membro del partito Baath per trasformarsi poi in uno dei più strenui oppositori del raìs e lavorare a stretto contatto con la Cia.
Al pari del defunto dittatore è considerato un uomo privo di scrupoli, capace di imporre il proprio volere con il pugno di ferro. Non a caso voci e leggende sul suo breve mandato da primo ministro si sprecano. La più truce vuole che durante una visita ad un carcere abbia ucciso di persona due detenuti di Al Qaida per dimostrare ai suoi generali la necessità di una lotta al terrore senza compromessi. Sei anni dopo, Allawi si presenta come il simbolo della riconciliazione e dell’unità nazionale. La sua coalizione - battezzata Iraqiya - raccoglie sia ex esponenti del partito Baath, sia militanti sciiti poco inclini al fanatismo religioso. Questo doppio legame ne fa uno dei candidati favoriti per la vittoria finale.
«Le differenze etniche, culturali, religiose - spiega Allawi in questa intervista a Il Giornale - sono una delle ricchezze di questo Paese, per questo noi vogliamo mettere fine al settarismo, eliminare le discriminazioni e avviare una nuova stagione di solidarietà e unità nazionale. Io sono stato perseguitato da Saddam Hussein per trent’anni, ma non cerco né vendetta né riscatto, voglio solo la riconciliazione e il benessere della nazione».
L’accusano di fare il gioco degli ex di Saddam.
«Chi ha commesso dei crimini deve vedersela con i giudici, chi non ha fatto nulla di male ha, invece, il diritto di venir reintegrato nel processo politico».
Durante il suo primo mandato ha scontentato tutti. Che errori non rifarebbe?
«Cambiare un Paese in pochi mesi non è facile. Il mio programma non è cambiato, mi batterò anche stavolta per costruire delle istituzioni efficienti. La mia vittoria regalerà stabilità all’Irak e a tutta la regione».
Se vince lei perdono gli alleati di Teheran. L’Iran la lascerà lavorare?
«Con l’Iran voglio rapporti buoni, ma chiari. Voglio chiudere le questioni rimaste aperte dagli anni della guerra e aprire un capitolo nuovo basato su riconoscimento e rispetto reciproco».
L’Italia sta diventando uno dei principali partner dell’Irak in campo petrolifero. Come vede i rapporti con il nostro Paese?
«I rapporti con l’Italia sono tradizionalmente buoni e con me si continuerà su questa linea. Gli italiani e gli europei hanno bisogno del petrolio iracheno, noi iracheni abbiamo bisogno d’infrastrutture, tecnologie e investimenti che solo voi potete darci. Il bisogno è quindi reciproco».
L’attuale premier Nuri Kamal al Maliki vuole chiedere agli americani di restare. È della stessa idea?
«Gli americani non sono la soluzione ai nostri problemi. Non possiamo dipendere da loro. Non possiamo tenerceli qui per sempre. Per me devono partire quanto prima. Solo la riconciliazione e una politica di sovranità nazionale pienamente condivisa garantirà la fine della violenza. Senza questi elementi neppure l’esercito più potente del mondo garantirà la nostra tranquillità».
Ma l’esercito iracheno è in grado di garantire la sicurezza?
«Questo esercito non si basa sulle competenze e sulla professionalità dei suoi componenti, ma sulla loro appartenenza ad alcuni gruppi di potere. Per questo bisogna ristrutturarlo e riformarlo trasformandolo in una forza fedele al governo, libera da condizionamenti esterni e da legami con i partiti. Inoltre vanno messe fuori legge tutte le milizie private o di partito».
Tra le vittime del settarismo ci sono i cristiani. Cosa farà per mettere fine alle persecuzioni?
«Da giovane studiavo dai gesuiti e i miei migliori amici erano cristiani. So bene che quella comunità ha contribuito alla crescita del Paese. Perdere i cristiani significa rinunciare a una parte della nostra identità.

Da primo ministro sono stato il primo a cercare di garantire la loro sicurezza e a mettere a disposizione dei fondi per far ricostruire le chiese distrutte. Se verrò rieletto farò di tutto per garantire il ritorno di chi è fuggito all’estero e assicurare a quella comunità il ruolo che aveva in passato».

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