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"Ammiro Silvio, è un uomo del fare"

L'ex premier inglese, Tony Blair, nel suo libro di memorie Un Viaggio parla anche dell'Italia e dei suoi leader. Significativi i passaggi su Berlusconi (citato a proposito della candidatura inglese alle Olimpiadi 2012) 

"Ammiro Silvio, è un uomo del fare"

C’ è un’ulti­ma perso­na senza la quale non avrem­mo potuto vince­re: Silvio Berlusco­ni. Nell’agosto precedente gli avevo fatto visita nella sua casa in Sardegna per chiedergli aiuto sulla candidatura. L’Italia era uno dei protagonisti fondamentali. Mi aveva domandato fino a che punto fosse importante per noi ottenere le Olimpiadi. «È importante» avevo risposto. «Molto?» «Molto.» «Sei mio amico» aveva detto Berlu­sconi. «Non ti pro­metto niente, ma vedrò cosa posso fare».

Questo comportamento è tipico di Silvio ed è per questo che lo ammiro. Quasi tutti i politi­ci promettono, ma poi non combinano nulla. Lui non aveva promesso: aveva agito. I rapporti personali contano, que­sto è ovvio, ma chi pensa che siano elaborati stratagemmi e calcoli mate­matici a determinare le negoziazioni e i compromessi, sembra ignorarlo.

A tutti i livelli, ma soprattutto ai verti­ci, la politica ruota intorno alle perso­ne. Se un leader ti piace, cerchi di aiu­tarlo anche se ciò può andare contro i tuoi interessi. Se non ti piace, non lo aiuti. Se prendi le distanze per motivi politici - per esempio perché, come nel caso di Silvio, c’è più di una con­troversia sul suo conto - va benissi­mo, ma non illuderti: a perdere è il tuo Paese. Quel leader non è stupido e sa che non sei disposto a pagare un prezzo per avvicinarti a lui. Credi che non ti serbi rancore? Non so come ab­biano votato gli italiani, però...

Il 1˚ luglio assumemmo la presi­denza semestrale dell’Unione euro­pea, che avevamo detenuto per l’ulti­ma volta nel 1998. Durante il mio precedente perio­do in carica, ben sette anni prima, ero pervaso dall’entusiasmo per la recente nomina a primo ministro e, essendomi appena affacciato sulla scena europea, ero quasi un emerito sconosciuto, a me stesso e agli altri. L’Europa non era stata uno dei punti salienti del primo mandato.

Più che a cambiare l’Europa,ero interessato a dimostrare che la Gran Bretagna era cambiata. Eravamo pieni di pro­poste azzardate, anziché di strate­gie, e ora rabbrividisco se ripenso ad alcune di quelle «iniziative». Una mente geniale aveva deciso che le no­stre cravatte (ogni Paese aveva una cravatta e un logo con cui contraddi­stinguere la propria presidenza) do­vessero avere effigiate immagini del­le singole nazioni realizzate dagli alunni delle elementari. Non ne ave­vo saputo nulla finché avevo ricevu­to una telefonata dell’allora capo del governo italiano Romano Prodi. Spesso Romano era un po’ difficile da seguire ma in quell’occasione era stato chiarissimo: «Ehi, Tony, tu in­sulti il mio Paese. Non abbiamo solo la pizza, sai. Abbiamo Roma, Firen­ze, Venezia, Michelangelo, Leonar­do da Vinci, Galileo, Verdi, Garibal­di, e ora la mia nazione teme che il mondo ci considererà una pizza quattro stagioni. Non va bene.

Devi fare qualcosa, altrimenti i rapporti tra Gran Bretagna e Italia si guaste­ranno » eccetera. Se vi dico che que­sto è più o meno l’unico ricordo di quella presidenza, capite che non fu uno dei miei periodi più brillanti.

 

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