«Amo l’Oriente ma New York mi dà sicurezza»

Los AngelesFranco Battiato negli Stati Uniti, ovvero il coast-to-coast di un artista filoarabo innamorato degli Usa. A conclusione di (H)it Week, la settimana dedicata alla musica e all’italian way of life, il cantante siciliano ha cantato domenica al Broad Stage a Santa Monica, il suo primo concerto in assoluto a Los Angeles, mentre ieri si è esibito al Poisson Rouge di New York, città dove aveva già cantato in passato. Ha anche presentato una selezione di quadri all’Istituto italiano di cultura e il suo film Musikanten all’Università del Sud California, ed è stato ospite del programma mattutino di Kcrw, la radio più sofisticata di tutta la West Coast.
Franco Battiato, conosceva già Los Angeles?
«Sì. Negli anni Ottanta vi avevo registrato un disco per il mercato americano, Echos of Sufi Dances, che è uscito per la Capitol Record. Mi fa piacere ritornarci perché l’altra volta sono stato qui più di un mese ma lavoravo quasi sempre. Incisi anche un disco in spagnolo allora, poiché il direttore editoriale era spagnolo e anche se io non ne avevo voglia mi obbligò a fare questa versione, ma era molto simpatico e alla fine ci siamo divertiti. Quando mi preparò i testi, iniziai a cantare La stagione dell’amore, «La estación de los amores», e lui mi corresse la pronuncia. Io gli dissi che a Madrid parlano così e lui rispose “Ma nosotros vamos ad atacar todo el mercado sudamericano, e quello che va bene in Spagna non va bene in Messico”. Ebbe un’intuizione formidabile, perché quel disco ha venduto un milione di copie in Sudamerica.
Ha avuto altre esperienze professionali negli States?
«Oltre ad alcuni concerti, avevo presentato il mio primo film Perduto Amor al festival di New York e avevo partecipato a una mostra collettiva al museo Hammer di Los Angeles. Era una commemorazione di Leonardo da Vinci in cui diversi artisti, io compreso, avevano fatto un lavoro su Leonardo.
Come è recepita la sua musica negli Stati Uniti?
«Noi italiani, come la maggior parte degli artisti europei, siamo mal distribuiti. Nei concerti però ho sempre fatto il tutto esaurito, comprese le prossime date di Los Angeles e New York. E alla presentazione di Musikanten, la stragrande maggioranza del pubblico era americana. Il film è stato accolto bene, gli spettatori hanno accettato il film anche se non era come si immaginava, un film sui generis, poiché il mio cinema è così, e alla fine c’è stato un dibattito e senza contestazioni.
Lei è conosciuto per il suo amore per il mondo islamico e orientale; quale è il suo rapporto con gli Stati Uniti?
«New York è splendida, mi affascina ogni volta che ci vado, perché anche sei solo e cammini per strada ti senti protetto, a ogni ora del giorno e della notte la città pullula di vitalità ed energia. Eppure ogni volta che ci sono andato ho trovato una città diversa. E poi ho visitato Las Vegas, San Francisco, Los Angeles e Boston».
Ci sono artisti americani che ammira, nella musica, nel cinema, nella letteratura?
«Anthony Hegarty, detto Anthony and the Johnsons, con cui ho cantato una canzone nel mio ultimo disco. Anche se è nato in Inghilterra è cresciuto in America ed è artisticamente americano. È un grandissimo artista e questa collaborazione è stata un’esperienza molto bella. E i classici... Da Bob Dylan in avanti ci sono tanti nomi importantissimi, dei colossi della musica pop. Al cinema direi David Lynch. Ci conosciamo, è un grandissimo regista, ma ora sta un po’ mollando. Dipinge molto e soprattutto è fortemente intrigato dalla meditazione. Invece seguo poco la letteratura americana, anche perché da qualche anno leggo solo saggi di tipo mistico, quindi mi sono allontanato dai romanzi, e la letteratura americana penso sia vincente proprio sul fronte del romanzo.
Presumo che non le interessi il cinema hollywoodiano...
«Ci sono dei prodotti commerciali che possono essere squisiti, divertenti e piacevolissimi, altri che sono indecenti. Non condanno il cinema hollywoodiano tout court, condanno la ripetizione asfissiante e sistematica di stilemi sempre uguali a se stessi: inizia il film e uno sa già come va a finire. Questi film non mi piacciono e li abbandono, ma mica mi metto a perseguitarli, basta scartarli e vedere solo le cose buone. E poi non dimentichiamo i grandi classici del passato come Lubitsch e Wilder: lì è un delirio di piacere e mi piacciono quasi tutti».
Ha in programma di girare altri film?
«Sì, sto preparando un film su Georg Friedrich Händel in cui Händel è la spina dorsale e le costole sono altri compositori, i grandi musicisti italiani che l’hanno influenzato, come Alessandro Scarlatti e Antonio Caldara. L’Italia era importante in quel periodo: in tutta Europa si cantava in italiano e mi piacerebbe descrivere quell’era.

La sceneggiatura è pronta, l’abbiamo data da leggere e ha suscitato molto interesse. Ho anche già individuato l’attore giusto, naturalmente straniero, che ha apprezzato moltissimo il copione. Se arrivassero i soldi, in un mese potremmo iniziare le riprese».

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