Amy, un destino già scritto "Mi sono fregata da sola"

Amy Winehouse cantava le sue paure e le sue debolezze. "Mi sono fragta, sapevo che l'avrei fatto", scriveva così...

Amy, un destino già scritto 
"Mi sono fregata da sola"

“Mi sono fregata, sapevo che l’avrei fatto” (I cheated myself, like I knew I would). Scriveva così, Amy. E cantava le sue paure e le sue debolezze. You know I’m no good, sai che non sono buona a nulla. “Ti ho detto che ero incasinata” (I told you I was troubled). L’aveva detto, Amy. L’aveva gridato nelle sue canzoni, scritte di suo pugno, come una poetessa dei nostri tempi. Sboccacciata, a tratti volgare. “Che stronzata è questa?” (What kind of fuckery is this?) - cantava in Me and Mr Jones. E del suo uomo che era tornato con la ex: “Si è tenuto il cazzo bagnato con la sua vecchia scommessa, quella sicura” (kept his dick wet with his same old safe bet). Ma era sofisticata, Amy.

Specie quando parlava d’amore. La sua ossessione.”Un gioco a perdere”, lo aveva definito in “Love is a losing game”. “Un destino rassegnato” (a fate resigned). Versi che a Cambridge erano finiti in un test d’esame, paragonati a quelli di uno dei più grandi poeti inglesi, sir Walter Raleigh. Amore, tradimenti, alcol e droga. Le sue canzoni erano un libro aperto. L’autobiografia di una ragazza di Camden Town, cresciuta a jazz e vodka. “And sniffed me out like I was Tanqueray”, mi hai annusato come fossi un gin. “Hand me your Stella and fly”, passami la tua birra e vola. Volava nei suoi viaggi psichedelici, Amy. “You love blow and I love puff”, a te piace la coca, a me l’erba.

“Life is like a pipe”, la vita è come una pipa (quella per fumare il crack) “and I’m a tiny penny rolling up the walls inside” e io sono un minuscolo penny che tenta di risalirla. Ha tentato di risalire Amy, tra visite in prigione al suo Blake - l’amore della vita, l’uomo che si era tatuata sul cuore - e dopo molti no alla rehab, alla disintossicazione, mentre i riflettori si accendevano sulla sua voce incantevole e sulle sue goffe cadute in mondovisione. “Did you have to go to jail? Put your house out up for sale? Did you get a good lawyer?”: sei dovuto andare in prigione? Hai messo in vendita la tua casa? Ti sei trovato un buon avvocato?, cantava nella cover presa in prestito dagli Zuton. E la musica ogni volta era il suo rifugio, il suo porto sicuro. Un disco di Ray Charles era sempre meglio della Rehab (I’d rather be at home with Ray).

“There’s nothing you can’t teach me that I can’t learn from Mr Hathaway”, non potete insegnarmi nulla che io non possa imparare da Mr Hathaway, Donny Hathaway, re del rythm & blues, diceva in Rehab, la hit con cui ha sfondato a livello planetario. Amy voleva imparare dalla musica. Ma aveva già imparato dalla vita, vissuta a poco più di vent’anni come se fosse un secolo. “L’unica cosa che posso essere per te è questa oscurità che conosciamo e questo rimorso a cui mi sono abituata” (All I can ever be to you is a darkness that we know and this regret I got accustomed to”). Piangeva, Amy.

Ma le lacrime si asciugavano da sole – tears dry on their own -. “Non posso prendermi in giro di nuovo, dovrei essere il mio migliore amico e non fottermi ogni volta la testa con uomini stupidi”. Eppure Amy la testa la perdeva spesso. L’ha persa soprattutto per Blake, un avanzo di galera entrato e uscito di prigione più volte, l’uomo che l’ha iniziata al crack e all’eroina, il bullo che ha sposato e che era ed è rimasto la sua ossessione, anche dopo il divorzio e dopo un album (Back to black, a lui completamente ispirato) che l’ha consacrata nuova dea della musica contemporanea. Blake era il dannato che Amy sperava di salvare.

“If my man was fighting some unholy war I would be behind him”,

se il mio uomo combattesse qualche guerra maledetta, io sarei dietro di lui. Ci ha provato, Amy. Ma si è fregata da sola. Nella sua casa di Camden Town. Con la sua vodka e i dischi di Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald.

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