Anche le galline nel loro piccolo si riconoscono allo specchio (e non sbagliano)

E così apprendo - anche il mio animale preferito avrebbe superato il test

Anche le galline nel loro piccolo si riconoscono allo specchio (e non sbagliano)

E così apprendo - anche il mio animale preferito avrebbe superato il test. Ne ha parlato persino il New York Times (www.nytimes.com/2023/10/25/science/roosters-mirror-test). Secondo la narrazione (quasi mitica) che circola nei laboratori di ricerca, alla fine degli anni Sessanta, mentre si stava facendo la barba, al professor Gordon Gallup jr. venne l'idea che poteva essere interessante verificare se gli scimpanzé del suo laboratorio fossero capaci di riconoscersi allo specchio. Se si riconoscono, pensò Gallup, vuol dire che hanno coscienza di sé.

Così lo scienziato inventò il test dello specchio. Abituò alcuni animali alla presenza di uno specchio nelle loro gabbie per una decina di giorni e poi li anestetizzò per pitturargli una macchia sul sopracciglio o sul lobo dell'orecchio, in una posizione tale per cui non la potessero vedere direttamente, facendo attenzione che il colorante non fosse percepibile con l'olfatto o al tatto. Il comportamento degli animali durante la fase di familiarizzazione con gli specchi già suggeriva che gli scimpanzé si riconoscessero. Dopo una fase iniziale in cui si rivolgevano all'immagine riflessa con comportamenti di tipo sociale, sessuale o aggressivo, come se la considerassero quella di un altro scimpanzé, presto dismettevano queste azioni iniziando a usare lo specchio per ispezionare il proprio corpo, guardandosi dentro la bocca o scrutandosi i genitali. Il test fugò ogni possibile dubbio: gli animali abituati allo specchio, a differenza di quelli non abituati, risvegliatisi dall'anestesia prendevano a esplorare le macchie con le mani, toccandole e strofinandole.

Negli anni successivi gli esperimenti sembrarono suggerire che solo le grandi scimmie oltre agli esseri umani fossero in grado di superare il test, ma poi si è assistito all'attraversamento del Rubicone da parte di una varietà di specie, dai delfini agli elefanti, dalle gazze ai pesci pulitori. Adesso è la volta delle galline, anzi, a voler essere precisi dei galli. Questi animali, poco avvezzi all'uso degli arti per l'esplorazione del mondo come possono fare i primati, non mostrano uno spiccato interesse per le macchie eventualmente pitturate sui loro corpi. Così un gruppo di ricercatori tedeschi, delle Università di Bonn, di Amburgo e della Ruhr a Bochum, hanno ideato una variante assai astuta del test. Quando vedono un predatore aereo, come un falco, i galliformi (e specialmente gli esemplari maschi, i galli) lanciano un segnale di allarme rivolto ai cospecifici. Il segnale viene prodotto quando c'è un'audience: i galli stanno zitti se vedono un falco ma sono da soli.

Così gli scienziati tedeschi hanno sottoposto a test dei galli, preventivamente abituati alla presenza degli specchi, che vedevano volteggiare sopra la loro testa un falco (simulato) mentre erano da soli, oppure in presenza di un compagno o in presenza di uno specchio. Ebbene i risultati hanno rivelato che i galli emettevano, come atteso, i segnali d'allarme quando c'era in vista un compagno, ma non quando erano da soli o quando vedevano soltanto il loro riflesso nello specchio.

Per fugare la possibilità di un ruolo giocato dagli stimoli acustici e olfattivi, in un'altra condizione era prevista la presenza di un compagno collocato però dietro lo specchio: anche in questo caso il segnale d'allarme non veniva emesso. Insomma, parrebbe che i galli riconoscano l'immagine allo specchio come la propria e quindi omettano di lanciare il richiamo d'allarme, né più né meno di come farebbero se fossero soli (o almeno credendo di essere soli con sé stessi, perché nella condizione in cui c'è un compagno dietro lo specchio non lo sono per davvero). Uno degli autori dello studio, il mio vecchio amico Onur Güntürkün, mi aveva accennato all'idea anni fa e mi ha fatto avere in anteprima l'articolo con un bel «I bet you will like this one» (scommetto che questo ti piacerà).

L'esperimento infatti mi è piaciuto molto perché è ingegnoso e si inserisce bene nella sfilza dei nostri ripensamenti in tema di cognizione animale: un sacco di volte si è detto «questo gli animali diversi dall'uomo non lo sanno fare» per scoprire poi che, opportunamente interrogati, lo sapevano fare eccome.

Tuttavia un problema resta aperto: davvero aveva ragione Gallup a credere che se un animale si riconosce allo specchio vuol dire che ha coscienza di sé? Personalmente, come Lord Byron, non nego niente ma dubito di tutto. Forse c'è un modo più semplice per spiegare che cosa accade, che non abbisogna di alcun esercizio di autocoscienza. In fondo, quando ci guardiamo allo specchio per raderci la barba o lavarci i denti stiamo semplicemente mettendo in relazione un movimento con un'immagine.

Proviamo a ragionare sulla sequenza degli avvenimenti che precedono il riconoscimento allo specchio da parte dei bambini. All'inizio l'immagine riflessa li inquieta o li spaventa un estraneo è comparso improvvisamente (i gattini fanno la gobba la prima volta che si guardano allo specchio). Poi la curiosità prende il sopravvento perché quell'immagine che vedono è ben strana. Iniziano a fare delle prove, si allontanano poi si avvicinano: il riflesso fa lo stesso. Poi a destra fino a sparire e poi a sinistra, ancora. Provano a muovere il braccio e l'immagine fa lo stesso. Tutte le volte che muoviamo un arto un sistema sensoriale specifico, che si chiama propriocettivo (o cinestesico), si mette al lavoro. Una serie di recettori nei tendini e nelle articolazioni ci tiene costantemente aggiornati sulla posizione e la postura del nostro corpo e sulla posizione relativa delle varie parti in base alla contrazione dei muscoli. Allora cominciamo a capire che cosa stia accadendo: ogni volta che muovo il braccio la sensazione propriocettiva che viene esperita coincide esattamente con la sensazione fornita dal senso della vista: il braccio si muove, lo vedo, e anche lo sento: deve essere il mio braccio quello sto osservando. Tutto ciò che serve per riconoscersi allo specchio è la capacità di apprendere per associazione.

Così non sorprende che siano stati ammessi nel club delle creature che si riconoscono allo specchio animali come i pesci e le galline.

Sospetto che, opportunamente interrogati, siano destinati a essere ammessi tutti quegli organismi che abbiano recettori sensoriali adatti a formare immagini e corpi sufficientemente articolati, perché l'apprendimento associativo fa parte dell'equipaggiamento di base dei sistemi nervosi, da Einstein alla piattola.

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