Un pop per due. Anche i brani si condividono. È la musica basata sul "feat"

In classifica sempre più rare le canzoni di band e solisti. Da Fedez a Tananai, in coppia (o in tre o quattro) è più bello

Un pop per due. Anche i brani si condividono. È la musica basata sul "feat"
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Uno non basta. Ce ne vogliono due, tre o anche di più come nel brano Bon Ton che raccoglie Drillionaire, Lazza, Blanco, Sfera Ebbasta e Michelangelo. Ormai le canzoni cantate da soli non vanno (quasi) più di moda, bisogna avere almeno un feat, ossia una collaborazione, altrimenti si rischia di passare per quegli insopportabili boomer, chessò uno Springsteen o un Baglioni, che hanno ancora la nostalgica mania di cantare da soli. Marco Mengoni con Elodie. Achille Lauro con Rose Villain. Tananai con Marracash e Merk & Kremont. Boomdabash con Paola & Chiara. Mr Rain con Sangiovanni. Annalisa con Fedez e Articolo 31. Rkomi con Irama. Coez con Frah Quintale. Rovazzi con Orietta Berti. E via elencando fino alla sorprendente e fuori dalle regole Emma con Tony Effe. Mondi musicali spesso lontani, qualche volta pure incompatibili ma chissenefrega, l'importante è condividere.

Aggiungi un feat al brano che c'è un amico in più. O sei una band come i Pinguini Tattici Nucleari che sbancano un doppio San Siro, magari si fanno aiutare dal bravo Lorenzo Vizzini per il singolo più trasmesso in radio in questi giorni secondo Earone (Rubami la notte) oppure scendi in campo quantomeno in coppia, ma vanno bene anche i tris, i poker eccetera. E basta dare un'occhiata alle classifiche per rendersi conto che non è un'esagerazione, anzi, è una tendenza partita lentamente ma ormai così clamorosamente consolidata che la notizia sono i brani senza feat, non quelli che lo esibiscono o addirittura scivolano nel più autorevole co-billing o nel joint album (ma non entriamo nel dettaglio). Nella Top Ten della classifica Fimi dei singoli, cinque su dieci sono brani con feat e degli altri due sono di band (Pinguini e The Kolors, tra l'altro il loro Italodisco è il più venduto con grande merito) e gli altri tre sono di Annalisa (Mon Amour, è uscito prima ma è il vero tormentone dell'estate), Angelina Mango di Amici e Alfa che ha già un Forum di Assago prenotato. Per carità, è un fenomeno che riguarda specialmente il rap e l'urban e che molto più raramente si intreccia al rock o al pop da stadio. Sì certo i Coldplay hanno collaborato con Rihanna e gli U2 con Mary J Blige, ma il feat è soprattutto responsabilità del rap che ha iniziato ad abbattere le barriere già con l'epocale Walk this way di Run Dmc con Aerosmith (anche se quello era un co-billing ma non sottolizziamo).

Prima di allora il feat non esisteva e, quando esisteva si chiamava duetto ed era raro, molto atteso, spesso di gigantesco successo sin da Under pressure dei Queen con David Bowie e, per restare in Italia, Mina e Celentano o, per essere senza frontiere, Ramazzotti con Anastacia, Tina Turner e Nicole Scherzinger. C'è stato anche il periodo del «duetto con il morto» o quello del «duetto contaminato» come ad esempio Frank Sinatra con Bono in I've got you under my skin. In mezzo secolo di musica popolare l'elenco è lunghissimo. Ma c'è un ma. Quelli erano eventi, spesso attesissimi dai fan, qualche volta molto deludenti viste le attese ma comunque «notiziabili» nel senso che erano novità. Ora figurarsi. Se non hai un feat non sei nessuno.

Ma perché si fanno? Spesso per amicizia tra gli artisti. Spesso per (legittima) convenienza nonostante gli accordi economici non siano resi pubblici e quindi è difficile capire a chi siano davvero convenuti. Il feat con il grande artista serve a quello sconosciuto e rampante. Il feat con la giovane promessa serve a spolverare la carriera di un «venerato maestro». Lazza ed Emis Killa hanno in passato hanno rivelato di non chiedere compensi per i feat, ma tanti altri chiederanno legittimamente un cachet variabile. Però ormai siamo nell'epoca dei feat e questa è la regola dominante alla quale praticamente tutti si stanno adattando, come legittimamente accade in ogni fase musicale. Ma ogni regola ha le proprie conseguenze. La moda diffusissima dei feat porta inevitabilmente a una perdita di identità della musica. Quanto incideranno nel rapporto necessariamente individuale che l'artista solista ha con il proprio pubblico? Piaccia o no, i brani, specialmente quelli delle radio e delle playlist, suonano molto omogenei, spesso troppo, spesso, diciamola tutta, sono identici uno all'altro. C'è in pratica una tendenza all'uniformità che equivale anche a una perdita di identità. E non è proprio un bel segnale, specialmente in prospettiva futura.

D'accordo, il ruolo dominante dei produttori crea necessariamente delle «scuole» che hanno tratti musicali molto riconoscibili. Ma la sensazione è che, a parte alcune eccezioni (ad esempio Mengoni con Elodie ha una identità forte e precisa), si sia in una fase di scarsa ispirazione che la vendemmia dei feat serve soprattutto a nascondere.

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