Di solito ad avere nostalgia di qualcosa che è passato non sono i diretti protagonisti di un'avventura, di un'esperienza di una moda. Più facile che quella nostalgia avvinghi chi quella stessa avventura, quella esperienza e quella moda, l'abbia soltanto vissuta di seconda mano: da lontano. Magari dalla distanza prodotta dal tempo.
È il caso di quanti hanno ancora nostalgia dei mitici anni Sessanta. Magari delle atmosfere molto cool che si vivevano negli ultimi film girati in bianco e nero. Tanti di loro, però, all'epoca non erano nati. E dietro quella nostalgia c'è soltanto l'amarezza per non aver potuto immergersi in un'atmosfera che sentivano più congeniale (magari perché più elegante e fascinosa).
Poi c'è la nostalgia degli studiosi. Filologi e topi di biblioteca capaci di passare anni sulle concordanze di un Rimario trecentesco. Chissà poi perché innamorati di un'epoca che per un uomo moderno, trapiantato ex abrutpo laggiù, si dimostrerebbe un vero incubo. Eppure...
Poi ci sono i virtuosi della musica. Prendiamo il caso di Jordi Savall, violoncellista di fama mondiale, che da qualche anno gira il mondo per riprodurre non soltanto partiture poco conosciute del XVI secolo ma per farlo con strumenti rigorosamente d'epoca. Se non è nostalgia di un «momento» irraggiungibile e inafferrabile questa!
E poi - per tornare a cose decisamente moderne - c'è l'esempio delle cover band. Si tratta di gruppi di musicisti che si riuniscono in formazioni che hanno il solo scopo di celebrare il talento di qualche personaggio famoso del rock. Fanno di tutto per essere fedeli all'originale. Dal taglio di capelli all'impostazione della voce, passando ovviamente per i costumi e le musiche. Alcune di queste cover band hanno avuto molta fortuna. Tanto da trasformare questi entusiastici dilettanti in severi professionisti del rock. E più la formazione omaggiata è lontana dal suo pubblico (per naturale estinzione o perché superata dai tempi e dalle mode discografiche), più i «cloni» si adagiano in una comoda posizione di nicchia.
È il caso dei Musical Box. Quando parlavamo di «distanza» pensavamo proprio a loro. Non soltanto perché appartengono a un'epoca molto lontana dal loro beneamato rock progressive, ma perché provengono dall'altra sponda dell'Atlantico. Sono tutti ragazzi canadesi che quando il rock progressive dava il suo meglio di sé sulla scena internazionale erano solo dei bambini.
Da più di un quarto di secolo questa formazione, guidata dai canadesi Denis Gagnè e Sebastien Lamothe, gira il mondo per riprorre le musiche dei Genesis. Qui non ci troviamo, però, di fronte a semplici dilettanti dello strumento. Sono appassionati del rock progressive, ma anche virtuosi, e rigorosi nella ricostruzione filologica di concerti storici della band inglese fondata da Peter Gabriel. E di questa passione ne hanno fatto un lavoro a tempo pieno.
Per anni i Musical Box hanno ricevuto un'accoglienza degna dei big della musica rock per il solo fatto di regalare emozioni, fino ad allora archiviate nella memoria di pochi eletti (ormai con i capelli bianchi). Hanno sviscerato tutto il repertorio dei primi Genesis con somma soddisfazione non soltanto dei tanti fan che il gruppo di «Foxtrot» e «Selling England by the pound» ha in giro per il mondo, ma anche degli stessi Genesis. A cominciare da Peter Gabriel e Steve Hackett.
Adesso i Musical Box sono di nuovo in tournèe. Ben sei tappe in Germania a novembre, una a Parigi, una nel sobborgo londinese di Croydon. E poi ancora Spagna, Belgio, Portogallo, Svizzera e - ovviamente - Italia, dove sono molto seguiti da sempre. Da noi arriveranno il 6 dicembre a Roma (Teandastrisce), per proseguire a Vicenza (il 7 al teatro Comunale) e a Milano (l'8 dicembre al teatro Smeraldo). È la prima volta che la band «clone» dei Genesis affronta uno spettacolo del periodo cosiddetto «post Gabriel»: «A trick of the tail» è stato infatti il primo album e tour dopo l'uscita del cantante dal gruppo. Nel cercare di riproporre in tutto e per tutto le tappe dei Genesis, il cantante Denis Gagnè avrebbe voluto lasciare il gruppo per dare spazio al batterista (nei panni di Phil Collins) ma è ancora proprio il camaleontico frontman, già eccellente interprete di Gabriel nelle precedenti produzioni, a cantare le canzoni già proposte nella versione originale da Phil Collins.
Per quanto riguarda l'aspetto scenografico dello spettacolo, la rigorosa ricostruzione delle scene, con le diapositive originali, i costumi, le luci ed i laser, i filmati, porta la firma di Serge Morrisette, che è stato chiamato dagli stessi Genesis per aiutarli a ricostruire il materiale per il loro dvd autobiografico.
Per quanto riguarda le esecuzioni musicali, il direttore musicale, bassista e chitarrista Sebastien Lamothe (che in scena copre il ruolo di Mike Rutherford) insieme con gli altri musicisti del gruppo, ha curato altrettanto maniacalmente la ricostruzione degli arrangiamenti proposti dai Genesis nel tour originale del 1976, usando gli stessi strumenti ed effetti. Eseguendo la stessa precisa scaletta del '76, che include anche brani dei primissimi concerti dei Genesis con Peter Gabriel.
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