Anche Mozart serve ad attaccare la Meloni

A Salisburgo chiari riferimenti nella "Clemenza di Tito"

Anche Mozart serve ad attaccare la Meloni
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Cronaca di quattro giorni ad alta densità musicale, e non solo. Siamo a Salisburgo dove la cantante Cecilia Bartoli, dal 2012 direttrice del Festival di Pentecoste, ha calamitato quassù Trifonov, il pianista dei pianisti, i registi Carsen e Livermore, i direttori Capuano e Järvi, l'orchestra di Brema e Les Musiciens du Prince, Il canto di Orfeo, i cantanti Behle, Domingo, Joncheva, Garifullina, D'Arcangelo, Villazon. Capitana di ben selezionati gregari, Bartoli ha dedicato il festival a Mozart, cittadino di Salisburgo, che per lui vive e grazie a lui prospera, abile nel far tesoro di tanto nome. Il programma di sala è goloso fin dalla copertina: una cascata di cioccolatini, le celebri Palle di Mozart, che al sol guardarlo s'alza la glicemia e il Pil della cittadina perché con Bartoli le sale fanno il tutto esaurito. Viene raccontato il Mozart autore d'opere serie, in scena c'è La Clemenza di Tito, il Mozart cameristico e sinfonico, quello spirituale, è pur sempre Pentecoste, e giocoso, vedi lo spettacolo di Livermore che attorno alla prima donna Cecilia cuce un musical ambientato nell'aeroporto Lorenzo da Ponte, al gate WAM (Wolfang Amadeus Mozart), tra musicisti in perenne attesa. Scioperi e ritardi, che fare? Si balla e canta: pagine dalla trilogia Mozart-Da Ponte, con Bartoli un po' Susanna vezzosa (Le nozze di Figaro), un po' Despina (Così fan tutte) dispensatrice di canne miracolose, che sapranno rianimare gli innamorati, beffati, Ferrando e Guglielmo.

Ma il piatto forte del festival è la Clemenza di Tito, che verrà ripresa tra un paio di mesi durante il festival estivo. Il regista Carsen ne fa un pastiche dove il riscatto del gender fluid si mescola con accuse a derive populiste e ai governi di destra, di qua e al di là dell'Oceano. Spazzata via la Roma imperiale di Tito, piomba sul palcoscenico l'assalto al Campidoglio americano, rivissuto anche attraverso i filmati del fatidico giorno, Tito (Daniel Behle) diventa un contemporaneo capo di Governo italiano, politici e faccendieri vanno e vengono sventolando badge: l'«Apriti Sesamo» di porte che danno accesso alle sale del potere e relative scartoffie, in barba alla transizione digitale. Si dà un gran da fare la bionda Vitellia (il soprano Marcellier) che richiama Giorgia Meloni fin dal (penultimo) taglio di capelli. «Ognuno vi legge quel che vuole», dice Carsen, ma l'allusione è chiara: è lei. Per l'occasione, migra verso il genere fluido la diva Cecilia Bartoli, femmina e maschia al contempo nel ruolo di Sesto, è di rigore schwa dunque: Sest* con la «e» rovesciata. Idem per Annio, l'altro ruolo per castrato da sempre affidato a donne «en travesti», ma qui è donna e punto. Vanno così in scena relazioni lesbiche e bisessuali disorientanti ai fini drammaturgici.

Al netto, c'è la sostanza vera: l'opera di Mozart, arie, duetti, cori sublimi, resi a meraviglia dal Canto di Orfeo e da Les Musiciens du Prince diretti da Capuano; il sapore d'antico nella buca d'orchestra stride con la prepotenza di un'attualità, o meglio di un punto di vista sull'attualità, appiccicata all'opera. Cambia poi l'epilogo. Tito perdona mandanti ed esecutori del tentato omicidio, come vuole il libretto, ma Carsen inscena un secondo assalto, questa volta a buon fine; e così, a terra Tito pugnalato, al cospetto di Vitellia: divoratrice di potere, la leonessa e volpe che tanto sarebbe piaciuta a Machiavelli. Uccisa la clemenza. Di fatto è il potere del regista a (tentare di) vincere sulla grandezza di un titolo scritto da Mozart.

Benedetta dunque la Messa K 427 eseguita la domenica da Les Musiciens con il Canto di Orfeo diretti da Capuano. Benedetto il concerto K. 503 secondo l'interpretazione intima e crepuscolare di Trifonov. Benedetta la musica offerta per quella che è. Stiamo pur sempre parlando di Mozart. Un genio.

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