Anche Rubbia seppellisce i sogni alternativi di Prodi

In una intervista al Corriere della Sera Carlo Rubbia l’ha detto chiaro e tondo, e noi lo riportiamo testualmente: «Lasciamo perdere energia eolica e tecnologia fotovoltaica: esse resteranno sempre marginali». Parole che, dette da un premio Nobel, ci danno conforto, non foss’altro perché in queste pagine le ripetiamo da anni. Ci sconforta invece il sospetto che Pecoraro Scanio continuerà ad adorare il suo sole, imponendo agli italiani l’acquisto di pannelli fotovoltaici da installare sugli edifici pubblici, e che Prodi continuerà a seminare vento, obbligando gli italiani a raccogliere tempesta. Caro Professor Prodi, il Nobel Carlo Rubbia conferma: il suo vento è aria; fritta ma costosissima.
Purtroppo, temo di dover contraddire il professor Rubbia sul resto della sua affermazione, che qui completo: «L’unica alternativa praticabile è il solare termodinamico». Prima di spiegare perché anche questa tecnologia è destinata al fallimento, è bene che tolga subito il dubbio che quasi certamente vi sarà balenato, spontaneo: com’è possibile che un francobattaglia qualunque si permetta di criticare l’autorità di un premio Nobel? La risposta è semplice: Carlo Rubbia è indubbiamente un genio ed è un vulcano di idee. Temo però che della propria idea sul solare termodinamico egli si sia innamorato, ed innamorarsi delle proprie idee è la prima tentazione in cui ogni scienziato ha il dovere di non cadere.
I fatti sono che ogni tecnologia di produzione di energia che si serva del sole come fonte è destinata irrimediabilmente a fallire. E non può essere diversamente, visto che c’è un unico sole, uguale per tutti. Il solare termodinamico consiste in questo: servirsi di specchi (che molto romanticamente in Italia chiamiamo specchi d’Archimede) per concentrare l’energia solare su un fluido che viene così portato ad alcune centinaia di gradi. Quindi, tramite uno scambiatore di calore, si produce il vapore necessario per azionare le turbine e produrre energia elettrica. L’efficienza dell’intero processo è il prodotto di tre efficienze: l’efficienza ottica degli specchi (80%, se va bene), l’efficienza termica del fluido (40%, se va bene) e l’efficienza termodinamica della trasformazione di calore in elettricità (40%, se va bene). Eseguiamo le moltiplicazioni e otteniamo un totale inferiore al 13%. Se va bene: 10% è un valore più realistico.
Per soddisfare i soli vincoli imposti dal protocollo di Kyoto l’Italia dovrebbe intervenire sulla produzione di 10 GW (10 miliardi di watt) elettrici da gas e sostituirli con altrettanti senza emettere gas-serra, come, ad esempio, gli specchi di Archimede. Quanti? Il conto è presto fatto: l’insolazione, mediata sulle 24 ore e sulle quattro stagioni è, in Sicilia, di 200 W/mq. L’efficienza del 10% del solare termodinamico consente allora una produzione elettrica di 20 W/mq: dividendo 10 GW per 20 W/mq si ottiene mezzo miliardo di metri quadrati di specchi.
Ora chiudete gli occhi. Immaginate mezzo miliardo di metri quadrati di specchi. Se la visione non vi turba ancora, immaginate l’operazione di lavare e lucidare frequentemente (diciamo un paio di volte al mese) mezzo miliardo di metri quadrati di specchi, operazione necessaria per mantenere alta la loro efficienza ottica.

In America ci sono due impianti di solare termodinamico: il Solar-2 che si chiama così perché ci fu un Solar-1 distrutto dal calore dal sole, che mandò a fuoco un milione di litri di olio; e il Segs. Entrambi gli impianti sono stati un fallimento, nel senso che hanno fatto bancarotta.

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