Anche le scimmie adottano i figli degli altri

Alcuni cebi hanno accolto nel proprio branco un cucciolo di uistitì insegnandogli i trucchi (esclusivi) del gruppo

Nino Materi

Con quel nome che si ritrova - Cebus libidinosus - uno si aspetta che faccia parte della famiglia dei mandrilli. E invece no, i cebi sono delle scimmiette note soprattutto per la loro intelligenza. Fino a ieri erano infatti celebri tra gli etologi per essere gli unici primati al mondo in grado di usare lo «spaccanoci» per rompere il guscio del gheriglio di cui sono ghiotti. Ma ora questi stessi cebi sembrano fare grandi progressi anche sotto il profilo «etico»: risulta, infatti, che varie «mamme» di questa razza abbiano adottato un piccolo di scimmia appartenente alla specie uistitì (Callithrix jacchus), decisamente molto meno perspicaci dei cugini cebi. Insomma, le scimmie geniali non solo hanno adottato un cucciolo di un’altra specie (ed è la prima volta che viene documentato), ma hanno pure cominciato a insegnare al figliastro un po’ tonto l’arte di aprire le noccioline facendo leva su un bastoncino di legno e colpendo il frutto con una pietra.
Il merito della scoperta è di un’équipe di studiosi internazionali di cui fa parte anche l’italiana Elisabetta Visalberghi, dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr. La ricerca, pubblicata sull’American journal of primatology, pone al centro dell’attenzione la storia di Fortunata, il primo cucciolo di scimmia adottato da un'altra famiglia «estranea». Il comportamento fra scimmie di generi diversi è stato osservato per la prima volta grazie a un’osservazione sui primati condotta nel Piauì, nel nord-est del Brasile. «Un gruppo di tredici cebi - spiega Visalberghi - ha adottato un uistitì di circa due mesi, che è rimasto con loro per più di un anno, ricevendo così le cure parentali necessarie alla sua sopravvivenza. Nel gruppo c'era anche un piccolo cebo che aveva la stessa età dell'uistitì; questo ci ha permesso di paragonare le cure rivolte ai due piccoli e il loro sviluppo comportamentale».
«L'uistitì, che non a caso abbiamo chiamato Fortunata, è stata adottata prima da una femmina e poi, dopo quattro mesi, da un'altra - prosegue la ricercatrice dell'Istc-Cnr -. Le due femmine, ma talvolta anche altri membri del gruppo, hanno trasportato Fortunata sulla schiena, sul collo o sulla pancia, proprio come avrebbero fatto con un loro figlio, permettendole così di spostarsi insieme al gruppo anche quando i tragitti percorsi sarebbero stati troppo "estremi" persino per un uistitì adulto».
Probabilmente l'adozione di Fortunata è stata favorita dalle dimensioni di questa specie, circa 10 volte più piccola di un cebo. Ciò ha facilitato il suo trasporto e ridotto la competizione alimentare. «Spesso ci è capitato di osservare Fortunata sopra un grosso ramo dove un cebo adulto stava usando un sasso per rompere una noce di cocco - prosegue la Visalberghi - mentre lei aspettava con pazienza di prendere qualche pezzettino di noce, noi eravamo agitatissimi perché questa minuscola scimmia sembrava poter ricevere, da un momento all'altro, una gran botta in testa». Ma per fortuna a rimanere spiaccicate sono state solo le noci, con in più il vantaggio da parte dell’uistitì citrullo di apprendere una tecnica di alimentazione che ha fatto guadagnare ai cebi la palma delle «scimmia più progredita», una specie di premio Nobel nel variegato mondo dei primati.
«I dati che abbiamo raccolto parallelamente per il piccolo cebo e la piccola uistitì, che erano pressoché coetanei, mostrano che le cure loro riservate erano simili, e questo nonostante le notevoli differenze in dimensioni, comportamento, organizzazione sociale e sviluppo fra le due specie», osservano gli esperti che, per settimane, hanno vissuto in simbiosi con una questa sorprendente famiglia allargata.
Dall’articolo pubblicato sull’American journal of primatology risulta che Fortunata «ha allungato di molto il periodo di dipendenza dalla madre, che in un gruppo di uistitì sarebbe stato di pochi mesi, e che i cebi hanno risposto con estrema tolleranza alla sua presenza, togliendola di impaccio ogniqualvolta rimaneva indietro, o era incapace ad arrampicarsi sulle rocce.

Nel caso dei cebi l’elasticità comportamentale è arrivata al punto di far loro adottare una scimmia che, in altre occasioni, arrivano anche a cacciare».
Ma ciò che qui stupisce è la «competenza» che hanno mostrato i cebi nell'adattarsi alle esigenze del piccolo uistitì: destinato ormai a primeggiare come un vero Cebus libidinosus, arti amatorie comprese.

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