Anche in Urss la salute era top secret E i «raffreddori» potevano uccidere

Negli anni Ottanta furono raccontate bugie assurde sui mali di Andropov e Cernienko

Roberto Fabbri

Oggi c’è Fidel Castro con il segreto di Stato sulle sue precarie condizioni di salute, ma in principio ci fu Andropov con il suo leggendario raffreddore. Il caso più grottesco di occultamento della verità a proposito delle condizioni di salute di un leader sovietico. Prima di lui c’era stato il caso del decrepito Breznev, dopo di lui ci fu l’ancor più penoso episodio del successore Cernienko. Ruderi inverosimili al vertice di una superpotenza che all’inizio degli anni Ottanta era in mano a una gerontocrazia incapace di accettare la fine del proprio tempo e del proprio ruolo. Un esempio da non imitare, ma che la Cuba rosso-caraibica del vetusto Fidel sta riprendendo vent’anni dopo, a Muro di Berlino ormai consegnato alla Storia.
Ma torniamo al raffreddore di Yuri Andropov. Ex capo del temutissimo Kgb, aveva salito i gradini del potere nel Politburo fino all’inizio degli anni Ottanta e alla morte di Breznev il ristrettissimo club dei vecchi capi del Pcus lo scelse come nuovo leader. Era il novembre del 1982. Freddo, razionale, con una chiara visione strategica, si diede subito da fare per rivitalizzare il flaccido corpaccione dell’Urss. Il Kgb riprese un ruolo primario, e sotto la sua guida esperta la guerra fredda tornò a temperature gelide. Ma durò poco. Nell’agosto 1983 il 68enne segretario generale del Pcus ricevette una delegazione di senatori americani e poi, letteralmente, scomparve. Agosto passò, settembre passò, ottobre s’inoltrò e nessuno a Mosca disse una parola ai sovietici né al mondo per spiegare dove fosse finito il Numero Uno. Poi, alla fine di ottobre, il colpo di scena. Leonid Zamjatin, portavoce del governo sovietico, affermò in tutta serietà che Yuri Andropov «aveva un raffreddore». Grave, perché il 7 novembre il leader dell’Urss non fu visto alla tradizionale parata sulla piazza Rossa, un fatto senza precedenti. Di lui non si seppe né si disse più nulla fino al 9 febbraio 1984, quando ne fu annunciata la morte. Non per raffreddore, ma per insufficienza renale, come poi si seppe da fonti non ufficiali.
Il predecessore di Andropov, Leonid Breznev, era stato a lungo un grottesco morto vivente: dei suoi ultimi anni si ricordano soprattutto le patetiche apparizioni sul palco della piazza Rossa il 7 novembre, dove restava per un’ora immobile nel gelo, come mummificato con un braccio alzato in segno di saluto, tra le altre mummie del Politburo. L’ultima di queste comparse fu tre giorni prima della sua morte improvvisa: nel suo caso è paradossalmente appropriato ritenere che qualcosa di simile a un raffreddore gli sia stato fatale.
Morto Andropov, invece, fu il turno di Konstantin Cernienko, apparatcik 72enne deciso a cogliere alfine il frutto della sua lunga rincorsa al potere. Lo assaporò per pochi mesi, poi dovette essere ricoverato: insufficienza respiratoria cronica. Malinconici resoconti del Vremja, il telegiornale sovietico, assicuravano settimana dopo settimana il suo imminente ritorno al lavoro.

Fu visto un’ultima volta, tragico manichino ansante e col volto coperto di cerone roseo, mentre sorretto da un’infermiera si recava a “votare” in un seggio elettorale allestito nell’ospedale dove pochi giorni dopo, nel marzo 1985, spirò.
Ieri all’Avana il presidente del Parlamento ha assicurato che Castro «è vivace e vigile». Fossimo nei suoi ammiratori ci preoccuperemmo.

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