Anita Nair e la danza dell’amore

Nonostante il titolo dell’ultimo libro di Anita Nair possa far pensare a una storia al femminile (Padrona e amante, Neri Pozza, pagg. 540, euro 18, traduzione di Francesca Diano), a dominare la narrazione è piuttosto la figura di Koman, un danzatore di kathakali, forma teatrale originaria dello stato meridionale indiano del Kerala i cui interpreti sono tutti rigorosamente maschi. È quindi intorno a Koman che la storia si snoda, in modo polifonico, grazie a un susseguirsi di io narranti secondo la tecnica propria del kathakali che nelle sue rappresentazioni non prevede l’utilizzo della terza persona. E Radha, la padrona e amante del titolo, benché personaggio bello e complesso come le donne che la Nair ha ritratto con la medesima bravura nel precedente Cuccette per signora, è solo una delle tante voci cui si aggiungono via via quella di Shyam, il marito che Radha ha dovuto accettare per salvare l’onore della sua famiglia, e quella dell’inglese Chris Stewart che porta con sé un violoncello e qualche mistero legato al passato e a sua madre.
Non è tanto la inevitabile relazione fra Radha e Chris a coinvolgere il lettore (c’è sempre un’aria crepuscolare attorno ai due e un verso di Auden sospeso sui loro cuori: «Pensavo che l’amore fosse eterno: mi sbagliavo»), e nemmeno la mancanza di reazione da parte del marito, pronto a pagare ogni prezzo pur di stare vicino a una donna che non ama, ma che adora possedere (del resto la mitologia indiana è zeppa di episodi in cui persino gli dei devono subire gli effetti del karma o la maledizione di un asceta). E tutto sommato c’è poca India da cartolina sparsa fra le pagine, poca o nulla gastronomia, zero spiritualità o esotismo di facile presa. Ma c’è Koman, danzatore al tramonto la cui vita è diventata una trasparenza attraverso cui emergono forme di dei e demoni, di principesse e guerrieri. Per costui la realtà scolora e viene declassata a contorno di una dimensione più vera che solo l’arte riesce ad esprimere compiutamente. E come nel kathakali il viso del danzatore assume un colore a seconda del personaggio - ai nobili Krishna e Arjuna compete il verde, a Shiva e Balarama, che alla nobiltà abbinano la furia, lo zafferano - seguiamo Koman rievocare la sua vita per Chris, che lo intervista con l’idea di scrivere un libro, e mutare colore a seconda dello scorrere dei ricordi.
Anita Nair sceglie di dare vita a una storia lineare che del kathakali ripercorre i navarasa, le nove emozioni che l’artista esprime attraverso una minuziosa e rigorosa mimica facciale, dall’amore, sringaaram, alla pace, shaantam. Per documentarsi la scrittrice di Bangalore si è recata in Kerala dove ha vissuto per due mesi fianco a fianco con i danzatori che si formano secondo la tradizione indiana della stretta relazione maestro-discepolo. Nel kathakali, espressione artistica intrecciata alle arti marziali e alla spiritualità, vengono rappresentati episodi del Mahabharata e del Ramayana in cui una raffinata filosofia procede dal mito e a esso ritorna.

E questa visione di fondo in cui piani umani e divini si intrecciano costantemente, dove ciò che si vede è illusione e ciò che balugina oltre il velo del mondo materiale è la sola vera realtà, traspare con grazia dalle pagine di Padrona e amante.

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