Lindulgenza che Simenon usava per i ladri e le puttane, gli assassini e persino gli usurai, insomma per tutta la petite gens che popolava le povere case, le puzzolenti portinerie e i fetidi bistrot dei suoi racconti, viene ora riproposta - con infinitamente minore bravura, sintende - nel nuovo filone di noir italiano, quello del «romanzo terrorista». Passato da tempo il poliziesco classico, raschiato il fondo del barile del genere-mafia, abortita la fiction sulle inchieste di Mani pulite, ci si butta appunto sugli anni cosiddetti di piombo. E sia che si tratti di memorialistica di ex militanti, sia che si tratti di opere di autori neutrali o meglio indifferenti, cè sempre o quasi, nelle pagine di questi nuovi noir, unaria di meglio gioventù, un tentativo di comprendere chi passò alla lotta armata, la sottolineatura del loro coraggio e in fondo del loro non guadagnarci nulla, insomma cè quellindulgenza di cui parlavamo.
Noi non siamo contrari allindulgenza, e anzi abbiamo un interesse personale affinché sulle miserie umane venga gettato uno sguardo di misericordia (ben conoscendo le nostre, di miserie). Ma nel caso dei romanzi sul terrorismo si corre un rischio diabolico, che è quello di confondere il terrorista con il terrorismo. Il primo è un uomo, e come tale può sbagliare. Con il secondo - il terrorismo - nessuna indulgenza invece è possibile. Perché si corre questo rischio? Ma perché nei romanzi di Simenon la distinzione fra peccato e peccatore è chiarissima: si può compatire lomicida se è un povero cristo schiacciato da una vita agra, ma lomicidio resta un gesto da condannare senza appello.
Sul terrorismo, invece, la confusione è sempre in agguato. Se il terrorista è una sorta di Robin Hood che in fondo lotta per un mondo più giusto, anche il giudizio sul terrorismo ne esce attenuato; o magari «contestualizzato», come suggerisce Erri De Luca nellintervista qui a fianco e in fondo come si dice sempre per minimizzare, giustificare, far dimenticare. Lumanizzazione del terrorista diventa così umanizzazione anche del terrorismo, soprattutto quando si parla di quello di sinistra. Lestremista di destra, al massimo, può godere dellaura romantica delleroe delle cause perse; ma più spesso è un fanatico, o peggio un losco esecutore di torbidi disegni di servizi segreti deviati. Quello di sinistra no: nei romanzi può essere descritto come uno spietato assassino, ma un assassino che in fondo rischia la vita per il riscatto degli oppressi, e senza guadagnarci nulla; i suoi bersagli, poi, sono nemici ben individuati, non mette bombe nelle banche o sui treni, non spara nel mucchio, non colpisce gli innocenti.
La saggistica si è già data da fare - anche se da una posizione di minoranza - per chiarire questo errore di prospettiva. Laver ucciso «in buona fede» non è unattenuante ma semmai unaggravante: le Brigate rosse e i loro stretti parenti hanno ucciso gli uomini in carne ed ossa in nome di unumanità astratta; rivendicando un fine nobile, hanno fatto passare per bene ciò che era un male, e quindi confuso le coscienze. Ora la narrativa rischia (certamente in buona fede, ma anche qui la buona fede è unaggravante) di reiterare questo equivoco.
Ma, fermo restando che nessuna censura è auspicabile, e che saremo ben lieti se da questo filone emergerà qualche talento letterario (anche se finora non ci sembra ve ne sia traccia), il noir sul terrorismo presenta un altro rischio: quello di espungere dalla storia gli anni di piombo per consegnarli a una dimensione immaginaria, fantastica, onirica. Non è un caso se in queste pagine due persone che vengono da opposti estremismi - Erri De Luca (sinistra) e Maurizio Murelli (destra) - usano lo stesso verbo per spiegare la loro approvazione del nuovo filone: ormai, dicono, quegli anni li abbiamo «digeriti».
Michele Brambilla
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