Gli Anni di Piombo raccontati dalle vittime

Piazza Fontana. Calabresi. Moro. La stazione di Bologna. Genova, ovviamente. E ancora D'Antona, Biagi e Petri, senza dimenticare il terrorismo internazionale. La partenza è l'Italia del '69, il viaggio è più lungo di quanto vorremmo ricordare e l'arrivo - se così si può definirlo - vicinissimo. Le domande infinite.
La prima: quante sono le vittime del terrorismo? Difficile accertarlo come troppa parte dei fatti tra lacune, compromessi, documenti «impolverati» in amministrazioni anche straniere, e una sorta di mainstream che porta spesso gli esecutori ad avere più voce delle vittime.
Quelle che a un certo punto si sono trovate a essere non più uomini - figli, genitori: carabinieri, operai, magistrati, politici, giornalisti, cittadini - ma semplici mezzi. Da sacrificare in nome di un fine che si fa sangue. E se quello censito per difetto traccia una geografia degli anni di piombo scandita da oltre 7000 attentati, più di 450 morti e migliaia di feriti, le vittime sono molte di più. A iniziare dalle famiglie che si sono trovate al centro dei flash della cronaca e poi abbandonate a se stesse. Per poi tornare sulle pagine degli stessi giornali quando il terrorismo ha ripreso ad assediare le porte dello Stato, e non solo italiano dopo l'11 settembre. Sono queste famiglie a schiarirsi la voce nella mostra «Anni di piombo. Le voci delle vittime. Per non dimenticare» ordinata alla loggia degli Abati di palazzo Ducale (Genova, fino al 10 maggio 2009) realizzata da AIVITER, Associazione Italiana Vittime del Terrorismo, e curata da Luca Guglielminetti. Ventotto pannelli espositivi, alcuni video e un tappeto sonoro compongono l'esposizione itinerante partita da Torino e destinata a toccare altre città in sedi istituzionali e scolastiche.
La mostra è l'aggiornamento di una rassegna fotografica che per quasi dieci anni ha portato memoria ma soprattutto monito per l'Italia. Oggi quelle stesse fotografie - molte sedimentate nell'immaginario collettivo, una su tutte: il giovane incappucciato, pistola alla mano, in via De Amicis a Milano nel '77 - si sono arricchite di testi.
Testimonianze, stralci di quotidiani e di quei libri che nel frattempo hanno ritessuto le fila della storia del terrorismo italiano che corre da una città all'altra sostando anche nella Genova di Battaglini, Casu, Coco, Dejana, Esposito, Floris, Rossa, Saponara, Tosa, Tuttobene.

Una mostra di sintesi e dall'alto valore civile non solo perché indispensabile medicina per una memoria sempre più a breve termine, ma perché indirizzata a quei giovani e giovanissimi che troppo spesso confondono slogan, nomi e colori. E che non sanno quanto poco profondo possa essere il guado che separa la politica dalla sua degenerazione.

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