Anouk Aimée, l'attrice simbolo di una bellezza che non esiste più

"Un uomo, una donna" fu il trionfo della diva: con lei scompare un'estetica dell'amore

Anouk Aimée, l'attrice simbolo di una bellezza che non esiste più
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La semplice bellezza dell'amore: non un'illusione romantica, ma una verità quando non si ostacola il destino o, se si preferisce, l'imperscrutabilità del caso. Un uomo, una donna: Anouk Aimée e Jean-Louis Trintignant i due attori del film uscito nel 1966, all'alba di quel periodo, il Sessantotto, che ha devastato il tradizionale flusso dei sentimenti. Anouk Aimée è l'icona di quell'idea di amore che nasce dalla dolorosa accettazione dell'assenza: entrambi i protagonisti sono vedovi, non si conoscono, ed entrambi hanno due figli piccoli che lasciano nello stesso collegio, non riuscendoli a seguire durante la settimana. Dopo aver trascorso la giornata di festa insieme ai loro bambini, ancora senza conoscersi, Anouk, ormai a sera inoltrata, ritarda nel riportare il figlio in collegio. Non ci sono più mezzi pubblici per tornare in città, a Parigi; qualcosa di analogo capita a Jean-Louis, che però ha la macchina e si offre di accompagnare a casa Anouk. Una storia costruita su una trama molto semplice che si regge sulla enigmatica bellezza della protagonista. Non ci sono le parole per dire l'amore, ma la variabile intensità degli sguardi, tutti affidati al volto di Anouk. Così una vicenda che avrebbe trovato nelle dichiarazioni d'affetto uno sviluppo banale, si svolge con autentica verità proprio attraverso l'assenza delle parole e nel silenzioso pudore delle immagini che esprimono le labbra, gli occhi, il sorriso, le lacrime della protagonista.

La critica ha celebrato altri film di Anouk Aimée, ma lei, comunque, ha sempre continuato a raccontare questa bellezza malinconica, tanto più affascinante quanto più lasciava da parte gli stereotipi della diva cinematografica. Anche Fellini si è dovuto arrendere all'originalità della sua immagine senza poterla stravolgere. Ne La dolce vita non troviamo l'attrice nell'harem felliniano delle bellone maggiorate: sembra la sua bellezza enigmatica al riparo da ogni eventuale trasgressione nella volgarità. E in Otto e mezzo, il suo carosello finale è un'apoteosi della sincerità in mezzo alla gioiosa baracconata della vita. Nel film ha il ruolo della moglie del regista, una vita sofferta, per molti tratti drammatica, ma l'intuizione geniale di Fellini la vuole preservare, quasi separare, dalla simbolicità del celebre girotondo, riservandole uno spazio privato alla sua personale rappresentazione simbolica della complessa bellezza dell'amore coniugale: anche lei è sulla passerella, non si sottrae al carosello, ma tiene affettuosamente per mano il marito.

Quando non si è critici cinematografici, quando, appunto, non si deve esaminare scientificamente un film e i suoi protagonisti, a noi spettatori si dà la possibilità di costruirci un pantheon di figure simboliche attraverso gli attori. Dicevo come, durante il Sessantotto, sono stati stravolti i sentimenti d'amore, quando, a cominciare da quell'epoca, essi hanno perso la timida segretezza della dichiarazione, del rapporto, così che tutto era diventato più esplicito, più immediato, più laico.

Un uomo, una donna è del 1966, Otto e mezzo del '63, La dolce vita del '60: Anouk Aimée è la figura simbolica dell'amore di quel tempo lontano quando le dichiarazioni d'amore erano fatte di sguardi, di sorrisi, di lacrime, e quando l'amore sincero non aveva bisogno di tante parole. E con lei, con Anouk Aimée, se ne va l'immagine simbolica sognata da chi ha ancora una segreta nostalgia dell'amore in quel tempo.

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