Appello dei musulmani moderati: «Chiudete la scuola islamica»

Un appello a chiudere la scuola islamica di via Paravia, firmato dai musulmani moderati di Milano. Stavolta non è la Lega a salire sulle barricate ma il mensile «Yalla Italia», la voce delle seconde generazioni arabe meglio integrate in Lombardia. In un articolo dal tono molto polemico e dal titolo inequivocabile, «Appello: chiudete la scuola araba Naghib Mahfuz», la rivista si scaglia contro quello che definisce «il ghetto di via Paravia». Cioè una scuola frequentata da 150 ragazzi con corsi tenuti quasi solo in lingua araba, in un quartiere dove la scuola statale italiana conta il 90% di alunni stranieri. Ma al di là delle singole scelte sui programmi, Yalla denuncia una vicenda molto grave: presentando alcune allieve agli esami di terza media, qualcuno avrebbe chiesto di chiudere un occhio sulla loro preparazione, più bassa di quella dei maschi, proprio perché essendo donne sarebbero «inferiori». Più in generale, per Yalla il problema è che i 150 minori di via Paravia sono affidati ad adulti impreparati e dal profilo dubbio: «Chi insegna in questa scuola? Docenti qualificati o gente che pur dopo anni di permanenza in Italia ancora non sa parlare la nostra lingua? La parte italiana del programma è adeguata o è una foglia di fico?». Domande cui il Comune di Milano, che avrebbe il compito di controllare, non ha alcuna intenzione di dare risposta, come pure per quanto riguarda la seguente: «Alla fine del percorso gli alunni sono preparati a proseguire gli studi nel nostro Paese o hanno avuto un’istruzione che per contenuti e metodi li taglia fuori da ogni prospettiva?».
Contattata da Il Giornale, un’ex insegnante italiana della Naghib Mahfuz conferma tutto: «É assolutamente vero. Ai responsabili della scuola non importa nulla dei programmi in italiano. Le lezioni del primo quadrimestre si svolgono solo in arabo. E si inizia a fare qualche ora nella nostra lingua solo a partire da aprile, in vista degli esami finali. Almeno fino a quando lavoravo io alla Mahfuz, gli alunni non erano affatto incentivati a imparare la lingua, ai loro educatori questo non interessava. I ragazzini, in Italia da anni, tra di loro parlano in arabo e gli stessi insegnanti non sanno l’italiano». «Quella scuola è un vero ghetto – afferma Paolo Branca, professore dell’Università Cattolica impegnato da anni per l’integrazione dei musulmani -. Occorrerebbe un’ispezione per capire cosa avviene nelle aule di via Paravia, ma chi dovrebbe controllare lascia correre». E aggiunge l’islamologo: «Il 90% degli studenti finita la scuola è destinato a rimanere in Italia senza sapere la lingua, una condanna all’emarginazione». «Bugie – ribatte Mahmoud Othman, presidente della scuola -.

Il 50% delle nostre ore di lezione è in italiano e nessuno ha mai chiesto un trattamento discriminatorio per le ragazze. A fine percorso gli studenti sostengono un esame di Stato, e se non conoscessero la lingua del Paese in cui vivono non potrebbero superarlo».

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