Applausi, pianti e troppi clic L’addio della moda a Ferré

Centinaia di curiosi aspettano solo di fotografare i vip

da Legnano (Milano)

È un giorno pieno di lacrime per il mondo della moda per l’irreparabile perdita di un maestro. Eppure bisogna andare avanti e ricordare tutto quello che succede, perché i funerali di Gianfranco Ferré hanno dimostrato quanto sia grande la distanza tra essere e apparire. La gente applaude l’arrivo dei grandi stilisti (Armani, Valentino, Krizia, i coniugi Missoni, Santo e Donatella Versace), mentre loro tentano di sottrarsi alle luci della ribalta per poi applaudire commossi oltre ogni dire lo straordinario discorso letto dopo la Messa da Antonio e Cinzia, due giovani designer dell’ufficio stile di Ferré.
«Carissimo signor Ferré, lei era ed è il signor Ferré, noi eravamo e siamo i suoi ragazzi», dicono i due collaboratori davanti al feretro coperto di rose rosse così fitte e naturali nella loro semplice bellezza da ammorbidire visivamente l’imponenza della cassa. Era grande in tutto Ferré, aveva anche la presenza fisica di chi può salire in cattedra e insegnare. «Non era facile entrare nel suo cuore - continua Antonio -, ma chi ci riusciva ci rimaneva per sempre, lei credeva alla fedeltà e la praticava. Si potrebbe parlare per ore delle notti e dei giorni passati a lavorare insieme, dell’incanto di ascoltarla». A questo punto è impossibile trattenere le lacrime per chi ha avuto il grande privilegio di sentirlo parlare dell’abito come habitat del corpo, opera divina a cui l’architetto della moda riusciva sempre a dedicare cattedrali di tessuto. «Dare il massimo è l’insegnamento migliore che abbiamo avuto da lei», conclude il ragazzo passando il microfono alla collega. «Lei non riusciva a non essere impetuoso e irrefrenabile come un temporale - aggiunge Cinzia -. Le sue sfuriate erano epiche, però passavano. Continueremo a lavorare come ci ha insegnato. Ma sarebbe bello se potesse farci arrivare da dove è adesso un consiglio, una parola, anche solo un rimbrotto».
L’applauso esplode nella basilica stipata all’inverosimile. E il primo a non potersi trattenere è Armani. Il cosiddetto «sitting», che alle sfilate di Ferré è sempre impeccabile, stavolta era impossibile da organizzare. Eppure Rita Airaghi, cugina adorata e insostituibile responsabile delle pubbliche relazioni fino a un anno fa, ci riesce. È lei la vera regista dell’impeccabile cerimonia officiata da don Piergiorgio Colombo, parroco della chiesa dei Santi Martiri. Il sacerdote dice una cosa clamorosa nella predica: «È Dio il divino sarto, l’insuperabile couturier». Ennio Capasa, stilista e artefice di Costume National, non riesce a nascondere un lampo divertito nello sguardo perché troppo spiritoso per prendere sul serio la metafora. Però tra la folla assiepata nella piazza non mancano gli stupidi che applaudono al passaggio degli stilisti e poi fotografano Afef e Anna Galiena. «Non è gente di Legnano», dice una signora arrabbiatissima. Un’altra ricorda che nella cittadina a 25 chilometri da Milano hanno casa e fabbrica anche Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Loro non ci sono, e manca anche Miuccia Prada, rappresentata però da Francesco Longanesi Cattani, direttore delle relazioni esterne del gruppo. «Una mia cara amica lavorava con lui - racconta -, abbiamo cenato qualche volta insieme alla Brasserie Lipp di Parigi dove abitavo quando Ferré era il direttore artistico di Dior». All’epoca qualcuno diceva: «Gianfranco è la reincarnazione di Christian Dior». L’iperbole regna sovrana nel mondo della moda. E Ferré non la sopportava proprio.

Infatti i suoi ragazzi si dicono preoccupati. «A me sembra che stia dicendo “va a lavorare”, ed è il minimo, visto che abbiamo la sfilata domenica». Invece è il coro che intona il Va’ pensiero mentre lui si avvia alla sua ultima dimora.

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