Arroccato nel fortino

La condizione di Romano Prodi è davvero singolare: blindato nel fortino di Palazzo Chigi o all’estero, mai nel Paese reale. La ragione del suo isolamento è disarmante, il presidente del Consiglio non sembra in grado di fermare l’ondata di protesta che sale dai vari settori del Paese. Protesta non solo dei ceti produttivi, ma anche del popolo dei «movimenti» e della cosiddetta «società civile» che - teoricamente - costituisce il bacino elettorale del centrosinistra.
Il tema dell’impopolarità del premier è il leit-motiv dei sondaggi sulla fiducia nel governo, ma soprattutto è il sintomo di quella crisi strisciante e perenne in cui versa l’esecutivo fin dalla sua nascita.
Il risultato è che sul fronte delle imprese, le ultime due assise di una certa importanza (l’assemblea di Confindustria e quella di Confartigianato) si sono trasformate in tribunali che hanno condannato senza appello l’azione del governo. E se Prodi da Confindustria ha dovuto ingoiare il boccone di una relazione montezemoliana che aveva un sapore molto amaro, a sorbirsi i fischi degli artigiani dell’associazione più vicina al centrosinistra, ha preferito mandare quel buon incassatore che si chiama Pierluigi Bersani. Il problema è che l’assenza del presidente del Consiglio si è trasformata nell’immanenza di una difficoltà cronica del governo a gestire il rapporto con la classe imprenditoriale, grande o piccola che sia. Fin dagli albori, l’impostazione «vischiana» della politica fiscale è stata viziata da un pregiudizio di fondo - il popolo delle partite Iva è una torma di evasori - che ha compromesso qualsiasi ipotesi di dialogo.
Senza una profonda correzione di rotta - che francamente, vista la composizione della maggioranza, sembra impossibile - il risultato elettorale delle amministrative nel Nord appare come la prima mareggiata di un’onda lunga destinata a far sentire i suoi effetti per lungo tempo.
Questa «frattura» con i ceti produttivi, con la parte più avanzata del Paese, con l’infrastruttura che ha contribuito alla ripresa economica e al miglioramento del Pil, non è stata compensata neppure da un rapporto migliore con la base sociale tradizionale della sinistra: la classe operaia, i giovani dei movimenti e delle università, l’associazionismo. Su questo versante il governo e la maggioranza hanno creduto di poter godere all’infinito dei benefici di una cambiale in bianco, ma le scelte ambigue sulla politica sociale e negli affari esteri hanno mutato lo scenario di riferimento.
Dal «popolo» della sinistra cresciuto con la cultura dell’antiamericanismo, la collaborazione diplomatica e militare - necessaria e irrinunciabile - con gli Stati Uniti non è stata compresa e si è trasformata in uno «schiaffo» e in una delusione cocente. Piazza del Popolo desolatamente vuota nel giorno della visita di Bush è stata il chiaro esempio dello «scollamento» della base dal vertice dei partiti della sinistra. Contrapposto poi al successo della manifestazione dei Cobas e dei partiti neocomunisti, quel flop è diventato un problema da seduta di autocoscienza. L’antiamericanismo e l’antimilitarismo si sono poi saldati nella vicenda della base militare di Vicenza. L’ampliamento della base Dal Molin è parte integrante della collaborazione militare tra Italia e Stati Uniti, ma le ambiguità di Prodi - il quale durante la conferenza stampa congiunta con Bush aveva detto «non ne abbiamo parlato» - anche in questo caso si sono trasformate in un boomerang. E quando l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Ronald D. Spogli, ieri ha annunciato il passaggio alla fase attuativa del progetto di ampliamento della base, Rifondazione ha subito issato le barricate e piazzato i cavalli di frisia, passando lestamente dalla fase di governo a quella di lotta, attaccando a testa bassa l’esecutivo di cui - en passant - fa parte.


Una schizofrenia letale a cui Prodi ha risposto ancora una volta alla sua maniera: oggi non sarà a Padova, città dove i centri sociali dell’ultrasinistra e i comitati contro la base Dal Molin erano pronti a riceverlo con un caloroso comitato d’accoglienza. Così, ancora una volta, Prodi si noterà per la sua assenza.
Mario Sechi

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