Arsenal, senza appello. Il Milan sa come si fa

L’allenatore vuole rivedere il Diavolo: "Tornano Kakà, Nesta e Pirlo. E queste sfide sono nel nostro dna". Galliani punge lo staff medico. Kaladze: "Ripetiamo il 3-0 al Manchester"

Arsenal, senza appello. Il Milan sa come si fa

Milanello - Oplà e il Milan torna sulla giostra preferita. Quella della Champions league, dove ci si diverte tanto (e vincere procura un godimento assoluto oltre che una popolarità incredibile in giro per il mondo) ma dove c’è anche il rischio di una caduta rovinosa. È il piacere sottile del «dentro o fuori» esaltato dai precedenti che documentano l’abilità milanista in occasioni del genere. Da quando in panchina governa, con amabile lealtà, Carlo Ancelotti, le qualificazioni nella sfide di ritorno, a San Siro, sono una garanzia per il suo Milan. Scandite da molti tormenti e qualche incubo (come contro l’Ajax, oppure contro il Lione, entrambi fermati sullo 0 a 0 all’andata). «Il dna della squadra e il sostegno del pubblico sono le nostre vitamine» la spiegazione fornita dall’allenatore, disteso e sereno come prima di un’amichevole estiva. Il suo faccione, le dichiarazioni di Kaladze e l’ottimismo misurato del presidente Silvio Berlusconi («Kakà e Pato la chiave per vincere») tradiscono sensazioni piacevoli.

Che mal si conciliano con la cifra tecnica dell’Arsenal e le ultime apparizioni del Milan in campionato, terreno sconnesso: vittoria sofferta, e persino immeritata col Palermo, più due pari, contro Catania e Lazio, incoraggiano poco il popolo che pure si presenta ai cancelli a chiedere autografi e promesse solenni. Perchè, d’improvviso, dovrebbe apparire a San Siro un altro Milan, senza amnesie difensive, senza difficoltà nell’aprirsi varchi verso il gol, gagliardo nella corsa? «Perchè recuperiamo pedine fondamentali come Nesta, Pirlo, Kakà» la spiegazione di Ancelotti passata ai cronisti inglesi, meravigliati come noi italiani, di questa doppia vita che sta diventando qualcosa di più di una semplice vocazione europea. C’è anche qualche pigrizia sotto sotto da denunciare, oltre che le difficoltà del calendario (tra gennaio e febbraio 3 partite in più da recuperare) e gli obiettivi limiti della rosa complessiva, ieri sera restituita a dignità di numero (21 convocati, tra questi anche Emerson e Seedorf, due degli infortunati di sabato sera). Attenti, non ci sono guaritori dalle parti di Carnago come reclamizza qualche autorevole giornale londinese. Anzi il cicchetto di Galliani allo staff medico è il segnale che la gestione disinvolta di taluni infortuni prima della Lazio non è passata inosservata.

Con la Champions e i rischi relativi, il Milan prova a rialzare la testa. «È stato molto positivo l’allenamento di domenica» racconta Ancelotti stregato da quella dimostrazione di efficienza. Al resto devono provvedere le qualità del solito Milan, campione in Europa più che d’Europa a cui è chiesto di comportarsi secondo un collaudato copione. «Non dobbiamo avere fretta ma coraggio e voglia di giocare bene, di comandare il gioco»: la ricetta milanista con il tradizionale accostamento blasfemo alla famosa serata col Manchester, «inaspettata ma non impossibile ripeterla» la convinzione di Kaladze.
Ci vuol poco a individuare le carte segrete del Milan.

La prima è Kakà, sempre presente nelle 7 precedenti sfide, più Pirlo. E poi Pato oscurato dalla presenza di Inzaghi, uno dei re delle notti magiche. Tre uomini d’oro per restare sulla giostra. Uscirne sarebbe un danno gravissimo. Ma è il brivido che fa bene al Milan. Fino a ieri.

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