A Lugano una mostra sull’espressionismo tedesco con Ernst Ludwig Kirchne

La mostra presenta l’opera di Ernst Ludwig Kirchner e mette in luce l’influenza che egli ha avuto sulla generazione di giovani artisti svizzeri nello sviluppo del loro linguaggio pittorico e scultoreo di matrice espressionista

A Lugano una mostra sull’espressionismo tedesco con Ernst Ludwig Kirchne

Caravaggio, van Gogh, Pasolini o Ligabue. Nell’elenco – non lunghissimo – degli artisti che hanno scritto l’arte con il proprio sangue, non può mancare Ernst Ludwig Kirchner, definito il padre dell’Espressionismo, prima vera avanguardia europea che agli inizi del Secolo breve professava l’opera come espressione radicalmente soggettiva e dunque probabilmente spaventosa: un urlo nelle tenebre del nulla, “sublimazione istintiva della forma nell’avvenimento sensibile viene tradotta d’impulso sul piano», per usare un’espressione del suo fondatore. Il quale fondò nel 1905 a Dresda la corrente della “Die Brucke”, ovvero del “Ponte” che aveva lo scopo di traghettare tutti gli elementi rivoluzionari e in fermento, abbattendo canoni e convenzioni dell’arte accademica.

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Circa vent’anni dopo, segnato irreversibilmente nella psiche dagli orrori della guerra, Ludwig cercò quiete e terapia in Svizzera, tra le montagne dei Grigioni e qui diede vita a una corrente artistica di cui poco ha parlato la Storia dell’arte ma che è brillantemente narrata

da un’esposizione in corso al Museo MASI di Lugano (fino al 23 marzo). Quella che divenne la costola elvetica dell’espressionismo tedesco si materializzò in un sodalizio di artisti basilesi che prendevano il nome di Hermann Scherer, Albert Müller e Paul Camenisch.

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Letteralmente folgorati dalle mostre di Kirchner alla Kunsthalle di Basilea nel 1923 e al Kunstmuseum di Winterthur nel 1924, iniziarono regolarmente a soggiornare a Davos nella provvisoria dimora svizzera del maestro “esule” tedesco. Nacque così la breve stagione del gruppo “Rot-Blau”, in italiano rosso-blu dai colori federali del Canton Ticino, in realtà ispirato ai colori primari tanto cari agli espressionisti, bandiera di angoscia e mal di vivere. «Noi non viviamo più, siamo vissuti – aveva spiegato qualche anno prima il critico d’arte Hermann Bahr - Non abbiamo più libertà, non sappiamo più deciderci, l’uomo è privato dell’anima, la natura è privata dell’uomo, mai vi fu epoca più sconvolta dalla disperazione, dall’orrore, dalla morte...”.

La verdeggiante Svizzera, al riparo dalle guerre e dai totalitarismi che agitavano l’Europa, non viveva forse quell’urgenza di sublimazione; ma Kirchner, con i suoi paesaggi acidi e i suoi ritratti di reduci mutilati dalle trincee, continuò a dipingere facendo breccia tra gli artisti elvetici che iniziarono a emularne lo stile e a Castel San Pietro, nella notte di San Silvestro del 1924, ufficializzarono la nascita dell’espressionismo svizzero.

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Nella mostra del Lac sono presenti molte delle opere di quel periodo: quelle di Kirchner, selezionate sulla falsariga degli allestimenti delle sue personali di Basilea e Winterthur e di cui esistono le testimonianze fotografiche grazie agli scatti dello stesso Ludwig; e quelle dei suoi discepoli svizzeri a cui si aggregheranno anche Werner Neuhaus, Max Sulzbachner e Otto Steiger, tutti con uno stile fortemente influenzato dal maestro tedesco. Il quale aveva trovato in quelle montagne - se non la guarigione alla propria prostrazione psichica e alla dipendenza di assenzio e barbiturici – colori più puri e luminosi che diedero vita a paesaggi caleidoscopici con dominanza di blu, magenta e gialli acidi.

Fu egli stesso a descrivere la sua nuova vita attraverso i testi del suo alter ego critico d’arte Louis de Marsalle, pseudonimo francese: “L’artista ex malato terminale ha trovato nelle montagne e in solitudine soggetti degni del suo talento, realizzando accanto ai dipinti circa mille fogli grafici che raffigurano il mondo montano in modo completamente nuovo, in maniera sempre più monumentale e profonda…”. Gli artisti svizzeri, dal canto loro, avevano ben chiaro che senza quell’etichetta Rot-Blau battezzata dal padre dell’Espressionismo difficilmente avrebbero avuto accesso come singoli alle istituzioni museali elvetiche, per altro ancora ingessate dall’accademismo e in impasse rispetto ai nuovi linguaggi delle avanguardie.

Basti pensare a come lo stesso Richard Buhler, presidente della Kunstverein di Winterthur, sconfessò la mostra di Kirchner del 1924: “Lui può senz’altro essere uno dei prescelti della storiografia dell’arte moderna, le riviste di spicco e il mercato dell’arte possono avvolgerlo di nuvole profumate di incenso, (…) ma l’onestà ci obbliga a confessare che questi dipinti ci disgustano…” . Pur amareggiato, Ludwig rispose alle critiche con i fatti: “Non c’è giudizio più certo e non c’è lode più bella dell’interesse dei giovani artisti, solo loro hanno un istinto sicuro per il buono del nuovo”.

Ma su quei giovani, che il maestro invitò anche ad esporre accanto a lui alla Internationale Kunstaustellung di Dresda, non pendeva una buona sorte; le morti premature di Muller e di Scherer – per tifo il primo, gonorrea il secondo – sciolsero il gruppo e di fatto posero fine all’avventura svizzera; mentre sul futuro di Kirchner, tra un ricovero e l’altro, già si addensavano le nubi di una Germania nazista che distruggerà molte sue opere giudicandole arte degenerata. La risposta di Ludwig, stavolta, sarebbe stata un colpo di rivoltella alla tempia nella sua casa tedesca di Wildboden, la mattina del 15 giugno del 1938.

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