Tutti fotografiamo e condividiamo immagini. Fiumi di istantanee delle vite degli altri ci ipnotizzano ad ogni ora dai feed dei nostri profili Instagram. Più ne vediamo, più ne scattiamo, più né postiamo. Ma è proprio quando il mezzo fotografico pare più inflazionato che la fotografia rivendica con maggior forza il suo status artistico. Di questa contraddizione, apparente, - di cosa trasforma una semplice fotografia in arte e del perché non ne possiamo più fare a meno - abbiamo parlato con Alessia Paladini, titolare dell’omonima gallery milanese, che fa del mix tra fotografia al femminile e grandi artisti storicizzati la sua cifra.
Mezzo inflazionato nella vita di tutti i giorni, la fotografia viene sempre più riconosciuta come arte. Va forte e lo dimostra il successo di MIA Fair, alla sua XII edizione. Perché non ne abbiamo mai abbastanza, delle immagini?
“Ritengo che la fotografia sia il medium artistico di più immediata comprensione e fruizione, ed è per questo che la sua popolarità si amplifica costantemente. Il suo successo tra i collezionisti di arte e la sua “promozione” a forma d’arte a tutto tondo è da attribuire a diversi fattori, tra i quali credo il più importante sia l’ingresso della fotografia nei musei, il proliferare di mostre fotografiche in spazi espositivi istituzionali di grande prestigio e in collezioni pubbliche e private importanti, le aste internazionali dedicate alla fotografia. Questo rassicura il potenziale collezionista e lo spinge a guardare alla fotografia come oggetto di collezione”.
Qual è lo scarto che fa di una foto una foto artistica?
“Difficile dirlo, per quanto mi riguarda trovo sia importante la capacità evocativa e comunicativa di uno scatto, la progettualità dell’artista che ha scattato”.
Deve esserci per forza un intervento tecnico, qualcosa di aggiunto o tolto, per parlare d’arte, o anche una fotografia che aderisce alla realtà può essere arte?
“Direi proprio di no. Raramente, quando un’opera fotografica mi colpisce ragiono sul fatto se sia post prodotta o meno, se sia uno scatto “reale” o no, quello che mi interessa è il risultato finale, non come sia stato ottenuto. Anche perchè la fotografia non è mai una riproduzione oggettiva e fedele della realtà, ma è la trasposizione del punto di vista del fotografo”.
Mi fa un esempio?
“Sono molti gli esempi di artiste e artisti che non usano aggiungere o togliere, ad esempio Rebecca Norris Webb e Lynn Saville, due artiste che presenterò a MIA quest’anno, e naturalmente i grandi maestri italiani quali Gianni Berengo Gardin e Piergiorgio Branzi, di cui esporrò una preziosa selezione di opere vintage”.
Intercettare in anticipo le tendenze fa parte del fiuto del gallerista. Dove sta andando la fotografia?
“Credo che un’ambito da tenere molto d’occhio sia la fotografia al femminile, ci sono moltissime artiste eccezionali che ancora non hanno avuto un adeguato riconoscimento. Poi, l’autoritratto, sulla scia del dilagare dei meno “nobili” selfie, gli interventi sulle foto anonime e le photo trouvée”.
Tre caratteristiche che deve avere oggi un fotografo per avere successo?
“Studiare molto, vedere molte mostre, trovare una propria cifra espressiva”.
A proposito di tendenze, sui social la realtà viene ritoccata per apparire meglio di quello che è. Anche la fotografia oggi rispecchia questo abuso del filtro o è 'più sporca'?
“Non credo sia possibile generalizzare, ci sono fotografie molto post prodotte ed altre no”.
Se dovesse scegliere un’immagine che condensa quello che 'tira' di più oggi, quale sceglierebbe?
“Non riesco ad individuarla!”.
MIA Fair tra dieci anni: che immagini ci saranno?
“Ci saranno immagini di grande qualità e contenuto, le uniche che possono sopravvivere”.
Prima o poi ci stancheremo delle immagini o sarà l’intelligenza artificiale a scattarle?
“La
sperimentazione con le nuove tecnologie sicuramente contamina la fotografia e può portare a risultati estremamente interessanti, ma io credo che il fattore umano sia imprescindibile, l’interpretazione emotiva non eliminabile”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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