«Gli artisti? Il mercato premia chi fa a fette gli animali»

Roberto Floreani, veneziano di nascita,vive e lavora a Vicenza. È uno degli artisti più interessanti della sua generazione, come conferma l’invito a partecipare alla mostra «Collaudi», curata da Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice, che aprirà il 7 giugno il nuovo Padiglione Italia della 53° Biennale di Venezia. Le sue posizioni rispetto alle avanguardie, quella che lui chiama arte di regime sono molto nette. È stufo di quelle provocazioni che piacciono tanto al mercato dei collezionisti.
C’è un fatto nuovo all’esposizione veneziana di quest’anno: la riscoperta della pittura e del disegno, di cui lei è uno degli artisti più apprezzati. Significa che la videoarte, le installazioni, eccetera, cominciano a segnare il passo?
«Io rivendico, nella mia opera, la sapienza del fare, il corpo della pittura e per questo preparo la base del quadro, i colori, insomma uso una metodologia rinascimentale, pur essendo un artista del mio tempo. Il disegno è fondamentale, a patto che non diventi virtuosismo fine a se stesso e che l’artista non diventi prigioniero della sua bravura. Io valuto la tradizione ma contemporaneamente mi sento figlio dei futuristi. Loro sono costruttori, mentre Duchamp e i dadaisti sono distruttori dell’arte. Credo profondamente nel corpo della pittura, che deve sempre vedersi».
Che cosa è la pittura astratta, di cui lei è un brillante esponente?
«La novità assoluta del Novecento, soprattutto per gli artisti della mia generazione (sono nato nel 1956), è l’astrazione. Balla è stato il più geniale in questa direzione e io mi sento assai più vicino a lui che a Kandinski. Lui ha un’idea calda, emozionante dell’astrazione, mentre in Kandinski c’è un’idea più fredda, più costruita dell’immagine astratta. Le mie radici di artista sono però anche di tipo filosofico e letterario. Marinetti e Ezra Pound hanno influenzato me e tutti quegli artisti che non si sono legati oggi a un’arte di regime».
Che cosa intende con «arte di regime»?
«Arte di regime non in senso ideologico, ma in senso economico, perché oggi, e rispondo alla sua prima domanda, l’arte nasce dalla comunicazione e dal denaro. Guardi che cosa ha fatto Saatchi che, da un giorno all’altro, si è inventato paladino di artisti che, come Damien Hirst, affettano gli animali o fanno anche di peggio. Noi abbiamo Cattelan con le sue provocazioni esaltate dai media, come l’asino impagliato e Vanessa Beecroft con i suoi recenti extracomunitari che hanno sostituito le modelle nude dipinte. Gli artisti portati dal mercato cavalcano un’arte spettacolare, pruriginosa, falsamente trasgressiva, applaudita da tutti quelli che contano, dai media ai direttori dei musei fino ai critici. Una volta l’avanguardia veniva fischiata, oggi quella che viene spacciata per tale, riceve solo elogi e quotazioni abnormi sul mercato».
Ma che cosa deve essere l’artista che non si vuole piegare a questo stato di cose?
«Deve essere inattuale, riprendendo la manualità, gli strumenti della pittura contro tanta arte contemporanea, che mutua i suoi temi perfino da internet.

La molla del pensiero nuovo deve essere quella di andare controcorrente, come hanno fatto i futuristi, ma anche Pound e Céline. Oggi se vivesse, Marinetti canterebbe canti gregoriani in chiesa».
Forse nasce tutto dal fatto che abbiamo svuotato la vita dei contenuti...
«Credo di sì. Nell’arte di oggi c’è un problema di natura etica».

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