Asian Dub Foundation: il potere a tempo di rap

Luca Testoni

Torna a farsi sentire anche dalle nostre parti la truppa anglo-asiatica degli Asian Dub Foundation, in concerto domani sera al Rolling Stone di corso XXI marzo 32 (ore 22, ingresso 13 euro).
Non è un gruppo qualsiasi il "collettivo aperto" che ha messo assieme alcuni figli di immigrati provenienti da India e Bangladesh fondato dal deejay Pandit G e dal chitarrista Chandrasonic. Già, perché la band londinese propone un'immagine di gente asiatica inedita: tanto per capirci, non sono né etnici né tantomeno esotici. Fanno invece musica sperimentale da ballo e riempiono lo spazio con il rumore.
Rumore risultato di una personale miscela di rock, jungle, reggae, elettronica, punk, hip hop e cultura bhangra (la musica nata nelle aree rurali del Punjab). Niente musica da hippy rilassati o da club, dunque. D'altronde, i ragazzi sono piuttosto arrabbiati e quasi fossero i nuovi Clash non rinunciano a "bacchettare" le politiche liberiste del laburista Tony Blair.
Degli Asian Dub Foundation si è parlato (e parecchio) un paio di mesi fa per Gaddafi: a living myth, il musical sul Colonnello che domina la scena libica (e internazionale) da 37 anni, misto di punk, reggae, rap e musiche asiatiche, che porta la loro firma. L'obiettivo dell'opera in bilico tra arti visive e musica elettronica andata in scena a Londra? Tratteggiare le sfaccettature di una figura politica tra le più controverse del nostro tempo, tra Oriente e qualche occidentalismo, potere aggressivo ed eleganza regale, bodyguard donne, duelli verbali ed eccentricità. Il tutto a tempo di rap.
«Gheddafi come lo conosciamo ha due immagini, una creata da lui e l'altra dai media occidentali. Il musical cerca di investigare queste differenze - hanno spiegato gli Asian Dub Foundation, che qualche anno fa hanno riscritto la colonna sonora del film di Mathieu Kassovitz L'odio -. Non lo presentiamo in una luce puramente positiva, sarebbe ridicolo. Ma ha fatto molte cose positive all'interno della Libia, accanto ad alcune negative. È una provocazione, e credo che questa sia una delle cose che l'arte deve fare».


Alla domanda se si sentano più a loro agio come ensemble elettronico o come rock band, la risposta di Chandrasonic e soci è sempre la stessa: «Non abbiamo mai considerato, come musicisti, questo genere di distinzioni, anche se è vero che alla stampa questo genere di categorie spesso fanno comodo. Ci interessiamo al suono, e ci preoccupiamo che le nostre canzoni siano belle: non ci importa molto, poi, se le sonorità che abbiamo utilizzato siano state ottenute con una chitarra acustica o con un campionatore».

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