«È assurdo, la sua vita non può finire lì»

«È un paradosso, un controsenso». Si ferma un attimo a pensare il dottor Giovanni Battista Guizzetti, prima di aggiungere: «È un’assurdità». Pensa a Eluana il responsabile del reparto stato vegetativo del centro Don Orione di Bergamo e alla possibilità che la ragazza venga portata a morire nella residenza per anziani La Quiete. «Ma Eluana non può essere fatta morire lì».
Perché dottor Guizzetti?
«Per due ragioni valide: una formale e una sostanziale».
Partiamo dall’ultima.
«In casa di cura ci vanno le persone che non sono più autosufficienti, quelle che i familiari non possono più gestire da un punto di vista clinico».
A questo punto il signor Englaro le direbbe che sta parlando proprio di sua figlia..
«No, perché queste persone vanno in casa di riposo per essere curate, per ricevere assistenza e non certo per morire».
Qual è invece la ragione formale?
«Le confesso di non conoscere la struttura in questione, certo è che La Quiete è un istituto storico per anziani e da noi in Lombardia, strutture come questa accettano solo pazienti che hanno superato i sessant’anni, non i giovani».
E allora il signor Englaro dove dovrebbe portare a morire sua figlia?
«In Italia non esiste un posto adatto. Da noi i medici lottano contro la morte e non si adoperano, al contrario, per procurarla».
Lei da tredici anni lavora con persone che si trovano nella condizione di Eluana. Cosa pensa della rincorsa per accaparrarsi questa ragazza ingaggiata dai suoi colleghi de La Quiete e delle altre strutture in Piemonte e in Emilia Romagna?
«Io non riesco proprio a capire cosa ci sia dietro. O forse sì: semplicemente un gran desiderio di protagonismo, lo stesso che ha travolto Beppino».
Lei lo conosce?
«Sì, e le assicuro che, come padre, non riesco proprio a spiegarmi la sua mission».
Far morire la figlia?
«Esatto. È come se tutta la sua esistenza fosse incentrata su un monopensiero: spezzare la vita di Eluana, rendendo a tutti i costi pubblica una questione prettamente privata».
A dire il vero però, più volte il signor Englaro ha chiesto il silenzio stampa.
«Allora perché non se la porta a casa e le toglie da solo il sondino? Basta una pressione di pollice e indice e il sondino si sfila. E invece no, vuole dare una rilevanza pubblica a un fatto estremamente privato».
C’è chi lo definisce un eroe che combatte per una battaglia di civiltà.
«E io a queste persone rispondo con un invito: venite al Don Orione, lì si che potrete incontrare dei veri eroi, persone che da anni, in silenzio, combattono la propria battaglia, stando vicino alla propria Eluana».
Quanti malati in questo stato ha incontrato durante la sua esperienza?
«Circa un’ottantina. Il nostro reparto è aperto dal 1996, disponiamo di 24 posti».
Ottanta malati come Eluana e quanti genitori determinati come Beppino?
«Nessuno. Mai. E le dirò di più, da due anni e mezzo giro l’Italia per raccontare la mia esperienza e ogni volta mi accorgo che il pubblico prova stupore».


Per cosa?
«Per l’altra faccia della medaglia: le persone si stupiscono perché per la prima volta sentono parlare dello stato vegetativo da un altro punto di vista. Racconto i miei tredici anni a contatto con questi pazienti, il rapporto speciale che si crea tra loro e gli infermieri che li seguono ogni giorno».

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