Le donne invisibili dell'Islam che l'Italia non vuole vedere

Sono ovunque, anche se non le vediamo. E, se le vediamo, siamo talmente assuefatti da lasciarci indifferenti

Le donne invisibili dell'Islam che l'Italia non vuole vedere
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Sono ovunque, anche se non le vediamo. E, se le vediamo, siamo talmente assuefatti da lasciarci indifferenti. Hanno il volto di donne costrette in veli scuri. Sfilano in silenzio per strada, davanti alle scuole, tra i bancali dei mercati rionali. Nessuno più fa caso alla violenza di portare, non per credo ma per imposizione, un tessuto sottile che cancella loro i capelli, il capo e persino il volto. Sono occhi inespressivi quelli che incrociamo. E corpi bardati di nero quelli che ci sfilano affianco, nel totale disinteresse.

Ma ci sono anche donne, mogli e madri, che di quel velo non hanno bisogno perché da casa non possono uscire. Se non per andare a fare la spesa o accompagnare i figli a scuola. Sono fantasmi che parlano a stento l'italiano, che della cultura del Paese che le ospita non conoscono nulla, che l'unico uomo con cui hanno il permesso di parlare è il marito. Ci sono poi ragazzine di cui lo Stato conosce a malapena il nome e che a sedici anni hanno già il destino segnato. Loro, da casa, sognano di fuggire.

Ma la libertà è una chimera. Le nozze, le combina il padre. Con un cugino della stessa età, quando va bene. Con uno sconosciuto molto più vecchio, quando va male. E se osano ribellarsi allora sì che il loro nome esce dall'anonimato ed entra nella cronaca nera. Hina, Sana, Saman. Troppo occidentali per vivere in Occidente. Queste donne, la scorsa settimana a Centocelle, le abbiamo viste pregare dietro ai loro uomini. Hanno celebrato la fine del Ramadan rinchiuse in un recinto.

E, mentre noi pensavamo che fossero costrette come una mandria, l'imam Zahoor Ahmad Zargar ha avuto il coraggio di asserire che devono starsene là dietro, altrimenti gli uomini guardano loro il culo. Eccoli i recinti e sono ovunque.

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