Leopardi non voleva pagare le tasse: spunta una lettera inedita

Il poeta di Recanati inviò una missiva al nunzio apostolico presso Sua Maestà Siciliana: "Un errore..."

Leopardi non voleva pagare le tasse: spunta una lettera inedita
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Lamentarsi della tasse è un qualcosa che ogni contribuente ha fatto almeno una volta nel corso della propria esistenza, ma quando a protestare per i tributi da pagare è un celebre personaggio della storia della letteratura italiana si comprende che rimostranze del genere non hanno nessun collocamento preciso, né da un punto di vista cronologico né per quanto concerne l'estrazione sociale del diretto interessato.

In una missiva di recente riscoperta nello sconfinato patrimonio di documenti ufficiali custodito all'interno dell'Archivio Apostolico Vaticano, il poeta Giacomo Leopardi esprime tutte le proprie perplessità sull'addebito nei suoi coinfronti di alcune tasse che, visto il luogo di residenza ufficiale, secondo lui non avrebbe assolutamente dovuto versare. In questo caso, quindi, il tanto decantato "pessimismo leopardiano" lascia spazio a una concreta lamentela relativa a un'ingiusto addebito. Niente di più lontano, insomma, dalla frase divenuta celebre pronunciata nel 2007 dall'allora ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, che decantava le virtù dei tributi: "Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima".

A rivelare il contenuto di questa storica lettera scritta di suo pugno dal grande poeta di Recanati è "Secretum", libro-intervista del giornalista Massimo Franco con il monsignor Sergio Pagano, Prefetto dell'Archivio Apostolico. Nell'opera, pubblicata dalle edizioni Solferino, vengono per l'appunto analizzati alcuni documenti conservati in Vaticano, tra i quali uno dei più curiosi è risultato essere quello firmato da Giacomo Leopardi.

La lettera, in cui è riportata la data del 14 settembre del 1836, è indirizzata a monsignor Ferretti, il nunzio apostolico presso Sua Maestà Siciliana. "Io dimoro, come Vostra Eccellenza sa, a Napoli", esordisce la missiva, "e per errore mi hanno compreso tra i contribuenti alle spese per la guardia civica di questa capitale…”, lamenta Giacomo Leopardi. Insomma il poeta protesta per il fatto di essersi visto addebitare un tributo a suo parere non dovuto per questioni di residenza, qualcosa che ricorda molto da vicino situazioni che si possono venire a creare anche nei giorni nostri. Ma non si tratta dell'unica lamentela che il celebre poeta fa all'interno della sua lettera: "Sono venuti i gendarmi. Ma io sono di Recanati, sto qui per caso", aggiunge.

Le rimostranze di Giacomo Leopardi sono appropriate oppure si tratta di

una lamentela ingiusta? Il giudizio del Prefetto dell'Archivio Apostolico Vaticano non lascia spazio a dubbi: "Non voleva pagare le tasse, era un po' tirchio", spiega monsignor Sergio Pagano.

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