I fischi a Sala in sinagoga e lo strappo con gli ebrei

Quello del sindaco con la comunità ebraica milanese, quella con la «c» minuscola fatta di chi ha parenti, amici, conoscenti toccati direttamente dai rapimenti di un mese fa, fatta di 5mila persone iscritte e un altro paio di migliaia residenti in città, è ormai un rapporto sfilacciato

I fischi a Sala in sinagoga e lo strappo con gli ebrei
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È bastato sentire pronunciare il suo nome perché l'altra sera in una sinagoga gremita per l'evento «Bring them home» («Portateli a casa)» si scatenasse una fiumana di fischi. Erano tutti per il sindaco di Milano Beppe Sala. Che non c'era. Non soltanto il comprensibile sfogo di chi era lì, a un mese esatto dal brutale attacco di Hamas e lì avrebbe voluto vedere anche il sindaco della sua città. D'altronde c'era il governatore della Regione Attilio Fontana che non era partito neanche troppo bene con la comunità ebraica e ora invece è considerato «uno di casa». C'erano perfino i rappresentanti della Coreis, la Comunità islamica che ha preso una posizione ferma. Sala non c'era. Ancora una volta. Ma la sensazione è che i fischi sarebbero partiti ugualmente anche se ci fosse stato.

Perché quello di Sala con la comunità ebraica milanese, quella con la «c» minuscola fatta di chi ha parenti, amici, conoscenti toccati direttamente dai rapimenti di un mese fa, fatta di 5mila persone iscritte e un altro paio di migliaia residenti in città, è ormai un rapporto sfilacciato. Logorato dalle sue troppe assenze e dai troppi silenzi. Con tanti «piccoli» fatti che hanno creato «un'atmosfera di mancanza di fiducia». E dire che lui, sinistro, antifascista, sempre attento a celebrare la Giornata della memoria era partito anche avvantaggiato. Ma non c'era l'altra sera. Non c'era neanche il 12 ottobre «non è stato mai chiaro nel condannare chi inneggiava contro gli ebrei», dice Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica. Quest'ultima assenza è stata la goccia e ora «viene percepito come qualcosa che non fa volentieri o che non sente veramente». Insomma quei fischi non sono venuti così all'improvviso, «ma sono figli di una storia di assenza». Poi per carità quando c'è il giorno della Memoria lui è sempre lì, puntale e presente nella sua formalità istituzionale. E questo glielo riconoscono. Ma il problema è il giorno dopo. Il problema è il delegato, come l'altra sera con la presidente del consiglio comunale sua messaggera, che non ha fatto in tempo a pronunciare il nome di Sala che si sono scatenati i fischi. Il problema è che a volte non c'è nessuno. E c'è troppo silenzio.

L'impressione della comunità ebraica milanese «è che stia cercando di mediare tra le varie parti della sua maggioranza invece che affermare i principi chiari come la lotta all'antisemitismo». E ora chiedono una cosa sola: che ci metta la faccia. Come peraltro «fa spesso, con coraggio», fa notare Romano. Forse quando qualcosa davvero gli interessa.

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