L’eterna guerra santa sulla legge 194. I centri per la vita salvano un bimbo su tre

Le polemiche sulla proposta Fdi: nessuno vuole cancellare la norma, ma applicarla per intero. I veri buchi: ospedali con soli medici obiettori e consultori a singhiozzo

L’eterna guerra santa sulla legge 194. I centri per la vita salvano un bimbo su tre

Una donna che valuta se abortire o no si fa molti più scrupoli di un politico a un mese e mezzo dalle elezioni. Se non altro, è costretta a porsi un paio di domande in più, intime. E non ragiona per preconcetti, compartimenti stagni e slogan di facile presa. Come era prevedibile, l’emendamento di Fratelli d’Italia al decreto legge che mette in atto il Pnrr e che prevede l’ingresso delle associazioni pro-vita nei consultori pubblici, è stato frainteso da chi - per esigenze elettorali continua a dividere il mondo in buoni e cattivi, in bianco e nero e si rinchiude in una narrazione che non considera le sfumature. Pd e Cinque Stelle gridano all’attacco della legge 194, che dal 1978 regola il diritto all’aborto. «Vogliono cancellare i diritti delle donne», «Stanno scardinando la legge» insorgono Elly Schlein and company. Ed è ovvio che, chi sente queste dichiarazioni senza prendersi al briga di leggere l’emendamento, scenda in piazza davanti a Montecitorio. Scandalizzato.

OLTRE LE FAKE

In realtà il decreto - su cui il governo ha posto il voto di fiducia non scardina e non cancella nulla. Anzi, si propone di applicare per intero il testo della legge 194. Da 46 anni nel provvedimento c’è un passaggio, dimenticato dai più, che sprona, prima di entrare nel merito del diritto ad abortire, a prevenire le cause che portano all’interruzione di gravidanza e ad assistere la maternità. «Nell’organizzazione dei servizi dei consultori - spiega l’emendamento dello scandalo - le Regioni possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Di fatto si tratta delle associazioni pro life e dei Centri di aiuto alla vita che già oggi sono attivi (ma non ovunque e non sempre all’interno di un consultorio). Saranno pronti a dare un consiglio o a supportare le donne che pensano di non avere altra scelta che l’aborto o che non sanno prendere una decisione.

LE INDECISE

In base ai dati del Ministero della Salute, le donne incerte sono parecchie, una su tre. Nel 2021, in 46.194 si sono presentate nei consultori per un primo colloquio ma solo in 31.065 hanno poi compilato e firmato il certificato per l’intervento. Vuol dire che 15mila ci hanno ripensato. La legge, tra la richiesta di aborto e l’ingresso in sala operatoria, prevede un’attesa di 7 giorni, perché la donna abbia il tempo di cambiare idea o di decidere con maggior convinzione. Se vorrà e se i suoi dubbi sulla gravidanza riguardano problemi di lavoro, economici o pratici, potrà chiedere supporto ai volontari. Ma per capire il ruolo dei pro-vita nei consultori, bisogna «abortire» qualche luogo comune: i volontari non sono «talebani» che si lanciano addosso alle donne che desiderano abortire per dissuaderle con un lavaggio del cervello pressante, come immaginano quelli che si ergono a difensori dei diritti e della libertà. Non vanno a caccia di pecorelle da convertire, semmai lasciano un volantino sui tavolini delle sale d’attesa per raccontare cosa fanno: la fornitura di pannolini per il primo anno, il contributo alle spese del bambino e - in qualche caso - una mano nella ricerca di lavoro. «Nelle linee guida per i nostri volontari - spiega Soemia Sibillo, alla guida del Cav Mangiagalli di Milano - diciamo chiaramente che va rispettata la libertà della donna. Non potrebbe essere altrimenti. La donna arriva da noi solo se vuole, non siamo noi a cercarla. Lei, se vuole, ci racconta i dubbi che ha sulla gravidanza appena iniziata, va via. Noi non la richiamiamo. Aspettiamo torni da sola». Da sfatare anche la questione dell’obbligo di ascoltare il battito cardiaco prima di abortire: era la proposta di uno dei movimenti pro vita ma tale è rimasta, mai è stata applicata.

I PROBLEMI REALI

I veri buchi della legge sull’aborto sono altrove. Il diritto all’aborto pur essendo nazionale non viene applicato in modo uniforme in tutta Italia, nonostante l’intervento di interruzione volontaria della gravidanza sia stato inserito nei Lea, i servizi essenziali di assistenza. In base all’ultima mappa di Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per applicazione legge 194), 31 strutture hanno solo ed esclusivamente medici obiettori, 50 ne hanno il 90%, 80 ne hanno l’80%. Prevista dalla stessa 194, l’obiezione di coscienza è talmente frequente da costringere le donne a spostarsi in altre città o regioni. Accade soprattutto in certe zone: la provincia autonoma di Trento, Abruzzo, Molise, Basilicata, Sicilia. Altro dilemma: i consultori pubblici sono 2mila ma mal distribuiti (gli aborti nel 2021 sono stati 63.653) e spesso tengono aperto solo in certi giorni della settimana dalle-alle. «Era davvero necessario presentare un «nuovo» emendamento per far applicare una legge in vigore da 46 anni? Se questo fosse stato il vero scopo, allora sarebbero davvero tanti, forse troppi, gli emendamenti necessari per rendere effettive tutte le parti ad oggi disapplicate della legge 194.

In primis, di garantire l’erogazione delle prestazioni senza interruzione di servizio e con la disponibilità della Ru486» sostiene Mirella Parachini, ginecologa dell’associazione Coscioni. Garantire il diritto all’assistenza sanitaria ovunque, da Nord a Sud è la vera sfida della legge. E della politica.

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