Ho avuto la tentazione di commissionare questo articolo sull'intelligenza artificiale alla intelligenza artificiale. La cosa sarebbe stata possibile noleggiando a 5 euro al mese (li ho, me lo posso permettere) un attrezzo detto app da inserire nel tablet sulla cui tastiera strimpello i miei modesti prodotti giornalistici. Dice la réclame: «Il nuovo soggetto tecnologico è destinato a diventare una nostra estensione. Può essere usato per assisterci in diverse mansioni: può scrivere un testo, riassumere un documento, allungarlo se serve. Può correggerci una bozza, risolvere una funzione matematica. Ancora, possiamo chiedergli di organizzarci un viaggio, di preparare una mail, di aiutarci a compilare il curriculum. Ci sono anche funzioni più di intrattenimento, come creare una storia per i propri figli o inventare una barzelletta o immaginare un gioco. Gli si può chiedere anche di aiutarci a fare la lista della spesa, un trucco per pulire bene i vetri. Una cosa piuttosto utile», conclude forse con un guizzo di ironia. Assicura di essere in grado di diventare un altro me stesso - una mia estensione appunto - eseguendo il compito per cui sono pagato e che costituisce il mio mestiere da circa 65 anni in stile feltriano (e dire che ero convinto
di scrivere in italiano) e poi me lo farebbe risentire ricalcando la mia voce, meglio di Crozza. Insomma un altro Feltri, ma più svelto a sparare cazzate. Preferisco la mia stupidità naturale all'intelligenza artificiale che vorrebbe prendere il mio posto. Finché si tratta di usare l'elettronica per controllare rapidamente una data o l'esatta ortografia di una parola, oppure rinfrescarmi la memoria di un motto in latino e chi l'abbia pronunciato per primo, sarebbe idiota rinunciare a un aiutino, ma accettare di essere ritenuti perfettamente replicabili non solo quanto al profilo del volto ma anche simulando i miei stessi sentimenti e giudizi, facendo la media di quelli pronunciati dal sottoscritto (ogni sottoscritto, compreso il caro lettore che sei tu), lo ritengo l'equivalente di una dichiarazione di morte mentre si è in vita, me ne basta e avanza già una.
Mi rendo conto che un tecnico degli algoritmi o un filosofo dei sofismi - di quelli chiamati nei convegni a istruire su vantaggi e pericoli della IA o AI (a seconda che si scelga l'acrostico della Grande Bestia in lingua nostrana o inglese) - giudicherebbe le riflessioni di un tizio qualsiasi come me quali espressioni di volgare ignoranza. Ma non capisco perché costoro vorrebbero costringermi a dare alle loro macchine il permesso di rubarmi l'anima - che oltretutto
non esiste - per farle giudicare quel che di nuovo capita, privandomi di quel brivido che è l'illusione della libertà, sostituendo l'imprevedibilità del mio pensare questo o quest'altro, pretendendo di poterlo stabilire sulla base di una formula estratta dalla statistica delle mie decisioni passate.
Quello che infatti non viene detto è che quella che viene chiamata intelligenza artificiale generativa, la quale sostiene di riprodurre la nostra impronta infallibilmente, non genera qualcosa di nuovo ma copia da qualcosa che c'è già nel passato.
L'IA è essa stessa la vera illusione, una truffa cosmica, pretende di estrarre dall'umanità in generale
e da ciascun singolo in particolare il meglio, evitando errori, complicazioni, asperità e inciampi. Poco dolore, molta serenità, niente refusi, la morte vivendo. Grazie no, mi tengo la mia stupidità naturale e ben pagata.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.