Non è nuovo ad imprese grandiose e al limite dell'impossibile. l'alpinista Riccardo Bergamini, che in una conferenza stampa a Palazzo Orsetti, sede del comune di Lucca, ha annunciato una "nuova avventura", quella di scalare il Khan Tengri, la montagna più settentrionale del mondo, che supera i 7000 metri d’altitudine e divide la sua vetta con tre paesi: il Kirghizstan, il Kazakistan e la Cina. L'obiettivo de Il Signore del Cielo, come viene chiamato nel mondo dell'alpinismo, è quello di scalare il Khan Tengri dalla cresta ovest, una via di salita considerata molto impegnativa e che prevede una preparazione tecnica molto specifica. Come racconta nella nostra intervista, le difficoltà maggiori saranno lungo i pendii di oltre 50 gradi, che presentano passaggi di arrampicata fino al terzo grado, proprio negli ultimi 700 metri di salita, oltre alla variabile del meteo con condizioni climatiche impervie. La partenza è prevista per il 19 luglio.
Come è nata la sua decisione di questa nuova scalata?
"Nella mia vita ho fatto parecchie spedizioni alpinistiche, sono salito anche in montagne alte 8mila metri senza bombola d'ossigeno, altre montagne di 7mila mentri in Nepal e in Tibet nel Kirghizistan, sulle Ande, in Sud America e in Alaska. Quest'anno avevo in mente di partire nei mesi estivi ed ho deciso per questa particolare montagna".
Che tra l'altro presenta delle criticità non indifferenti.
"Il Khan Tengri ha condizioni climatiche un po' particolari perché è la montagna più settentrionale del pianeta sopra i 7mila metri e ci sono spesso tempeste di neve anche nel periodo estivo. Ma non è tanto la temperatura, che non varia moltissimo dall'inverno, è il fatto di trovarsi a farlo nella stagione dei monsoni dove le precipitazioni sia nevose che di pioggia sono maggiori".
Da dove nasce questa sua passione
"Ho scritto anche un libro dove lo raccontavo, che presto regalerò al ministro dello sport Andrea Abodi che ho incontrato a Roma quando ho ricevuto un riconoscimento sportivo a fine dicembre. Tutto nasce da quando ero piccolo, 5 o 6 anni, e insieme ai miei genitori andavamo da semplici turisti sulle Dolomiti. Mentre camminavamo io avevo sempre in naso all'insù e guardavo quelle cime così alte immaginando quanto sarebbe stato bello scalarle e vedere cosa c'era dall'altra parte. Crescendo questo desiderio è rimasto, e ho iniziato a farlo su montagne man mano sempre più alte".
Si ricorda l'emozione della prima? Cosa ha provato guardando "dall'altra parte"?
"Le prime montagne sono state le Alpi Apuane, perché sono quelle vicine a Lucca, nello specifico la Pania della Croce, ed è stata una grande emozione. Da lì in poi ho cominciato con quelle di 3mila metri. Però la più grande l'ho provata la prima volta che sono salito sul Monte Bianco. Fin da piccolo ero molto affascinato da questa montagna ed ho sempre pensato che fosse solo italiana, ed in realtà la vetta lo è, anche se qualcuno a volte dice che non è vero. Mi ricordo che arrivato in cima ho anche pianto di gioia. Con il passare del tempo l'ho scalata più volte anche da solo, però la prima volta è stata indimenticabile".
Mi tolga una curiosità: si fa tanta fatica a salire su una montagna ma poi come si scende?
"Dipende ovviamente dalla montagna, ma in generale allo stesso modo in cui si è saliti. Nel 2021 insieme ad un mio amico scalatore di Courmayeur abbiamo scalato una montagna inviolata in Himalaya e poi siamo scesi da un altro versante. Dipende da vari fattori".
Le sue imprese sono grandi e affascinanti, ma la montagna è anche un luogo pericoloso per chi non la conosce bene e non sa come affrontarla, non a caso sono aumentate le richieste di soccorso.
"Il bello dell'alpinismo è quello di non avere la certezza di poter arrivare in cima, ci vuole la sana paura che ti fa decidere anche di tornare indietro. Possiamo essere gli uomini più allenati della terra, ma è sempre lei che ti concede di arrivare in cima. Basta il brutto tempo, una nevicata improvvisa, il vento, il crollo di un serracolo che magari ti sbarra la strada e non passi più. Ci sono poi pericoli oggettivi come un crepaccio, una valanga, per questo di solito nelle scalate si va in cordata; se succede qualcosa l'altra persona può aiutarti o dare l'allarme. Anche grandi alpinisti sono morti. Quando parto e saluto i miei figli di solito un po' di timore mi prende, ma non mi viene mai in mente l'idea che non tornerò o che mi capiterà qualcosa. Il discorso dei soccorsi sulle nostre montagne è dovuto soprattutto a persone incaute che non hanno proprio idea di come si affronta una scalata e la preparazione che c'è dietro. Gente che non riesce più a camminare, disidratata che va in montagna come andasse a fare shopping in città. C'è bisogno di attrezzature particolari spesso sulle Doloniti salgono con le infradito".
Parlando proprio di preparazione quanta ce ne vuole?
"Io ovviamente faccio delle imprese e mi alleno sei giorni su sette in montagna facendo corsa e andando anche in palestra. Faccio la vita di un atleta professionista e mi alleno moltissimo. Con le mie scalate e grazie agli sponsor, perché farlo costa molti soldi, faccio anche beneficenza, lo scorso anno ho portato aiuti ad alcuni bambini di Katmandu. Anche qui a Lucca organizzo corse didattiche".
Si è mai trovato in una situazione di grave pericolo?
"Ho amici che sono morti e non su grandi montagne, una tra tutte una mia cara amica scomparsa durante una scalata abbastanza facile. Quando ho raggiunto la vetta della montagna inviolata dell'Himalaya, ho potuto 'battezzarla' e le ho dato il nome di Santa Barbara, che è la protettrice dei bravi ragazzi e di Santa Chiara il nome della mia amica scomparsa sulle Alpi Apuane. Anche io mi sono trovato qualche volta in pericolo, sono caduto su un crepa e rimasto agganciato con un rampone dondolando sopra un crepaccio di 400 metri, però alla fine sono risalito".
Questa sua prossima scalata sarà in
solitaria?"Partirò il 19 luglio dall'Italia da solo, e raggiunto il campo base in Kirghizstan, situato a circa 4000 metri di altitudine, mi legherò in cordata ad un alpinista russo con cui raggiungerò poi la vetta".
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