La chiamano "Wellness wave". Si distende balsamica sui cuori pulsanti di mezza America (Usa, of course), convincendola che è davvero arrivato il momento di mollare gli ormeggi per salpare verso una direzione inedita e salutare. L'eccesso di saccarosio? Dev'essere un ricordo. I grassi cattivi che intasano il sangue? Li domiamo con la dieta giusta. Scoccano gli anni Novanta. Precisamente è il 1992. La Casa Bianca sta per accogliere un nuovo inquilino democratico, la Nintendo spopola, le catene dei fast food inanellano ingorghi. Ma non ancora per molto. Stavolta si cambia o, almeno, così pare a giudicare dalla grancassa narrativa che affolla radio e, soprattutto, tv. Stop ai patemi cardiovascolari. Altolà obesità. Il nuovo mantra è mangiare meno, mangiare meglio. E anche le bibite devono allinearsi. C'è un nuovo arredamento mentale in città.
David Novak, leggendario capoccia della Pepsi Cola, è tra i primissimi ad annusare la nuova aria che tira. E gli piace un sacco. Al punto che, un bel giorno, ordina una riunione d'urgenza. Ci ha rimuginato a lungo. Non ha avuto soltanto un'idea. Ha partorito la migliore pensata di sempre. Almeno secondo lui, s'intende. In un Paese che si vena di salutismo spinto le zuccheratissime pozioni contenute nei bottiglioni di plastica rischiano forte. Tocca depurare in fretta l'immagine. E cosa potrebbe apparire più limpido di una bevanda trasparente? Novak stappa la sua trovata: "La chiameremo Crystal Pepsi, la Pepsi sana, farà il botto". Quando i suoi vassalli la producono gli fanno notare che si discosta dal gusto tradizionale. Novak fa spallucce: "Resta così, lanciatela subito". Ma è una finzione e nulla più, perché - colore a parte - la bevanda è al solito un concentrato di zuccheri. L'occhio però non è sufficientemente sofisticato. Crede in quello che vede. E quello che vede sembra sano.
Nei primissimi mesi che seguono al lancio, Crystal Pepsi affastella qualcosa come 474 milioni di dollari e piazza pervasivamente i gomiti conquistando un altro 1% nella giungla del mercato globale delle Soda. Che a dirlo pare pure poco, ma a contarli sono molto più di moltissimi verdoni. Sopra Atlanta, intanto, insiste un cielo scurissimo. The Coca Cola Company ha incassato un terribile ceffone. E, se non reagisce in fretta, rischia di buscarne ancora. Sergio Zyman, lo stregone del marketing interno, si fa recapitare una decina di bottiglie della rivale. Le scruta. Le scandaglia. Le sorseggia. E sempre addiviene alla medesima conclusione: "Cavolo se sanno di zucchero". Sciroppo di fruttosio e calorie come se piovesse. Passa una nottata intera ad arrovellarsi. Poi intuisce che l'inganno avrà senz'altro vita breve. Ma nel frattempo deve tamponare l'emorragia, prima che zampilli.
Il tempo per replicare adeguatamente manca. Ma - si persuade Zyman - qualcosa di rapido e deflagrante comunque esiste. Solo che è una mossa che oscilla instabile sul bordo tra la follia più totale e la botta di genio. Sergio lancia una monetina. Sì, deve fare così. La strategia? Ribalda. Coca Cola introduce sul mercato Tab Clear, la prima soda kamikaze. Leggere la data di scadenza non serve: è stata prodotta per durare pochissimo. L'unico scopo? Sabotare Clear Pepsi.
Come? Saturando il mercato. Sugli scaffali di mezza America si spingono entrambe le bibite cristalline, rubacchiandosi spazio reciproco. L'asfissia però non potrebbe essere completa senza l'altra gran mossa di Zyman. La Tab Clear deve contenere dosi di zucchero e caffeina più elevate rispetto alla formula standard, al punto da risultare davvero poco appetibile. E chi inizia ad acquistare solo la bevanda di Coca Cola pensa, per associazione involontaria, che anche Clear Pepsi abbia quel sapore lì. Mica tanto buono, in fondo. Mica così salutare, a leggere la composizione. Nei mega store la gente inizia a sfilare oltre.
Coca Cola
ritira la sua bibita suicida dal mercato dopo soltanto sei mesi dal lancio. Altrettanto sarà costretta a fare Pepsi. Il più folle autosabotaggio nella storia del marketing. Anche il più geniale, a conti fatti.
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