"Quando il Gioca Jouer fu censurato in tv. Sono come Celentano, non ho più il mio clan"

Intervista a Claudio Cecchetto. Il produttore e la serie sugli 883: "Non è vero che rinnego la vita di provincia"

"Quando il Gioca Jouer  fu censurato in tv. Sono come Celentano, non ho più il mio clan"
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Generazionale, nostalgica, disimpegnata. Claudio Cecchetto, che ne pensi della serie tv sugli 883 in onda su Sky? Ti ci ritrovi?

«Mi piace, racconta di un sogno. C'è solo una cosa che non ho gradito. Quando il Cecchetto della serie dice: Basta parlare della provincia, alla gente fuori non importa della provincia, io mica vado in giro a dire che sono di Ceggia'. In realtà non è così. Io sono molto orgoglioso del paese da cui arrivo, dico sempre a tutti che arrivo da lì».

Jovanotti arriva da Cortona, gli 883 da Pavia. Spesso hai lanciato ragazzi di provincia.

«La provincia ha un potenziale enorme. Ti dà fame, voglia di emergere. È vita, è come una molla».

Mauro Repetto ha recentemente parlato di te come di un Disney italiano, costruttore di sogni.

«Ma magari. La mia Disneyland è stata come il clan di Celentano. Dove è rimasto solo Celentano. Scherzo, tutti quelli che ho lanciato per fortuna hanno la loro carriera, duratura, bella».

E con Max Pezzali? Vi siete chiariti dopo i dissidi del passato? Anzi, oggi si dice dissing.

«Dai, parliamo di cose belle. Le persone hanno voglia di sognare, non di ricordare il lato sgradevole delle cose. Quello rovina il sogno e basta. Peccato, è andata così, è l'extra Disneyland. Io non l'ho

mai attaccato ma mi sono sentito attaccare. Per dirla alla Vasco Rossi: Non sono le persone che tradiscono ma i loro guai'».

Allora torniamo ai sogni, alla fame di chi suona nelle tavernette delle ville di provincia. La vedi ancora quella fame?

«Sì, c'è ancora. Non facciamo l'errore di credere che ciò che è facile e leggero sia anche superficiale. Anzi, dico ai giovani di investire nei loro sogni, di dirli ad alta voce, di prefissarsi degli obbiettivi e gustarsi il percorso per provare a raggiungerli. Senza partire pensando: tanto non si può fare. Magari si può, magari si riesce. Di sicuro ci si diverte».

I nativi digitali sono cresciuti da una generazione di genitori che il primo telefonino lo hanno avuto a 30 anni. E non sanno capire la nuova generazione: le frustrazioni, la solitudine.

«Non vediamo solo il lato negativo delle cose. L'altro giorno ho visto un ragazzo per strada che rideva guardando il telefono. I più timidi hanno ampliato le loro amicizie, abbiamo abbattuto i limiti territoriali. Non è sempre e solo tutto negativo. E poi, glieli abbiamo dati noi questi telefonini, ci abbiamo anche guadagnato parecchio. La solitudine? E chi non è solo? Lo sono gli anziani, lo sono le coppie, lo eravamo anche noi ragazzi delle grandi compagnie. Anche ai tempi eravamo frustrati, solo che non lo dicevamo sui social ma la nostra realtà era limitata alla nostra classe a scuola o poco più».

Quali sarebbero le parole del Gioca Jouer di oggi?

«Cliccare, spammare, resettare. Ma se proprio vogliamo attualizzarlo, usiamolo come 'metodo'. Ad esempio per i sondaggi, anche quelli politici».

Tipo? Harris vs Trump?

«Perché no? Ti dà l'idea immediata di cosa pensa la gente di una persona, di come la riassume e

la semplifica in un gesto. Una volta l'ho fatto in tv, su Italia uno da Fabio Canino, sui politici italiani. Dico solo che è stata tagliata quella parte della trasmissione».

Anche le parole del fare radio sono cambiate: ora Radio Cecchetto ha un'app e si ascolta su Alexa.

«Sono gasato perché ho anche delle nuove idee: tipo pubblicare le foto degli ascoltatori e personalizzare l'app. Ad esempio: vuoi essere svegliato da Jovanotti o da Gerry Scotti? Ecco, io ti do la sua voce che ti tira giù dal letto. Sul telefonino, con una formula personalizzata».

Cioè, o ci si adatta a formule nuove o non si sopravvive?

«La metterei in un altro modo: o ci si diverte, o non ha senso fare le cose. Io non so bene cosa farò in futuro ma sicuramente non farò ciò che già fanno altri».

Chi ti piace dei personaggi di adesso?

«Bonolis, le Iene e Stefano De Martino: vedrete, farà il conduttore fino a quando avrà 80 anni. Posso dire anche i miei figli, Jody e Leonardo? Hanno il solo handicap di avere un papà famoso».

Tornando indietro, con chi non lavoreresti?

«Quelli li ho già fatti fuori ai tempi. Se andavamo d'accordo e lavoravamo sereni ok, altrimenti ci mollavamo».

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