Cara Vincenzina,
devo ammettere che non mi alletta il pensiero che da qui a qualche decennio gli italiani si assottiglieranno e guardo anche all'italianità come ad un valore da tutelare, incarnato da chi affonda le sue radici in questo Paese dalla morfologia particolare, ossia a forma di stivale, da chi è imbevuto della nostra cultura e trasuda il suo essere italiano da ogni particella. Non dico che essere italiani ci renda superiori, ma siamo avvantaggiati, fortunati, sebbene ci piangiamo sempre addosso. In questo territorio sono nate tutte le arti ed è nato anche il diritto. Siamo la culla della civiltà giuridica, che ci distingue da quei popoli che hanno come unico codice l'atavico precetto religioso e morale. Potrei dire, sì, che questo ci rende in effetti più elevati rispetto a tanti altri, ma mi beccherei le solite accuse di razzismo, che noia! Quindi non scriverò, eppure penserò che, quantunque gli esseri umani siano tutti uguali, indiscutibilmente, gli italiani sono migliori. Tuttavia io non esorto nessuno a riprodursi, a figliare, a popolare l'Italia di italiani di origine controllata. Sono padre di quattro figli. E non ho mai rimpianto di essere diventato papà in giovanissima età, intorno ai vent'anni. Ma non intendo pormi quale esempio da seguire o giudicare chi, a differenza mia, sceglie di non avere figli o di averne uno soltanto. Sono convinto che l'unica ragione che possa indurci a mettere al mondo una creatura sia il desiderio di amarla, quindi di accudirla, allevarla, educarla, proteggerla, compiti onerosi. Non si tratta soltanto di bisogni materiali, che con il denaro è facile soddisfare: basta diventare ricchi. Si tratta piuttosto di esaudire e rispondere a esigenze di cura che i bambini e i ragazzi hanno. Non si dà alla luce un figlio per popolare l'Italia, per contribuire a sollevare l'asticella della natalità, per essere bravi cittadini, per evitare l'estinzione del popolo italiano e roba simile. Si procrea se si è disposti a dare amore, non a ricevere qualcosa. I nostri figli non sono strumenti, tocca a noi essere strumenti per loro.
Penso inoltre che più dannoso del calo demografico sia la produzione di figli giusto per fare numero, ossia l'atto di generare finalizzato al soddisfacimento di un bisogno egoistico di padre o di madre, non accompagnato ad una piena consapevolezza dei doveri e delle responsabilità derivanti dalla genitorialità. Hai una minima idea, cara Vincenzina, dei danni che genitori immaturi, incapaci, concentrati soltanto su loro stessi, possono arrecare alla prole e quindi anche alla società intera?
Ecco perché non temo lo spopolamento ma il popolamento di «orfani», ossia di esseri umani che, pur avendo dei genitori, sono e si sentono soli nel mondo, abbandonati a loro stessi, esposti ad ogni
genere di pericolo e di deriva.Io non dico: «Fate più figli». Io dico: «Fate soltanto i figli di cui siete davvero in grado di prendervi cura». Comporre una famiglia non è l'equivalente di comporre un fascio di fiori di campo.
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