"Trasformare il dolore in una lezione di speranza". I 70 anni dell'Unione degli istriani

La celebrazione dei sette decenni dell'associazione che ha saputo mantenere vivo il ricordo delle foibe e dell'esodo, anche quando ciò che è accaduto era una sorta di tabù di Stato per questioni di realpolitik

"Trasformare il dolore in una lezione di speranza". I 70 anni dell'Unione degli istriani

A sorpresa, il presidente dell’Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, mi ha chiamato sul palco per consegnare gli attestati a chi ha saputo tenere alto il ricordo della tragedia delle foibe e del dramma dell’esodo in occasione dei 70 anni dell’Unione degli istriani. Al collo portavo con un po’ di emozione il fazzoletto con lo stemma dell’Unione, distribuito a tutti i presenti, con i colori dell’Italia e il simbolo cocciuto, che non molla mai, della capra istriana.

Da nipote di infoibato, il nonno materno, e figlio di esule ho ricordato dal palco la forza degli esuli e di associazioni toste come l’Unione che non hanno fatto morire la fiammella del ricordo negli anni dell’oblio quando foibe ed esodo erano una specie di tabù di Stato per motivi di realpolitik. E sottolineato la parte più importante dell’intervento del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. “Voi avete sapute trasformare il dolore in una lezione di speranza”. Per questo bisogna guardare sempre avanti, coinvolgendo nel ricordo e nella riconciliazione i nostri vicini e cugini europei, anche quelli che non sono ancora entrati nella Ue come i serbi presenti al 70imo dell’Unione con un intervento forte e chiaro.

Al sito del Giornale ho chiesto di ospitare il discorso integrale del presidente Lacota, che ripercorre la storia dell’Unione e non dimentica le delusioni di questi 70 anni, ancora oggi dolorose con un esempio su tutti, la presa in giro sulla medaglia a Tito. Un piccolo segnale dell’impegno che ho preso davanti alla platea degli esuli di non dimenticare mai le verità infoibate.

Qui il discorso integrale del presidente dell'Unione degli istriani Massimiliano Lacota.

Sig. Ministro, sig. Rappresentante della Regione FVG, signor Sindaco, signor Prefetto, signor Questore, autorità civili e militari, cari Istriane e cari Istriani, cari Soci ed Amici,

siamo qui oggi riuniti per commemorare il Settantesimo anniversario di fondazione dell’Unione degli Istriani; si tratta di un traguardo importante, faticosamente raggiunto e reso possibile dal lavoro svolto nel corso di questi sette decenni da diverse centinaia di persone che si sono avvicendate e succedute al sostegno ed alla guida dell’Associazione, molto spesso in tempi difficili, a volte davvero drammatici, e che hanno agito sempre con incrollabile fiducia, innanzitutto negli interessi morali e materiali esclusivi dell’Italia, e della sua integrità territoriale.

Non voglio qui sottolineare – non è questo né il momento né il luogo adatto - se il loro lavoro, se i loro sacrifici, se la loro indiscussa fedeltà agli ideali di unità nazionale siano stati pienamente riconosciuti, prima che ripagati, dalla Nazione; se lo facessi veramente - al netto del Giorno del Ricordo, che grazie al nostro splendido Roberto Menia, ha consentito di squarciare la fitta coltre di oblio e di manomissioni storiche sulle tragiche vicende del Confine orientale, del dramma delle Foibe e dell’Esodo di 350.000 italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia - il risultato, anche di una sommaria analisi, credo sarebbe tutt’altro che consolante.

È invece opportuno, necessario, nell’ambito di questo evento rievocativo, ricordare come nacque l’Unione degli Istriani, rievocando il contesto geo-politico di allora, indispensabilmente utile a comprendere i motivi che spinsero allora decine di migliaia di Istriani, profughi da pochi anni, a costituire questa realtà associativa.

A seguito delle note vicende dell’immediato secondo dopoguerra e della conseguente cessione alla Jugoslavia delle province di Pola, di Fiume, di Zara e in parte di quelle di Trieste e di Gorizia - parliamo della fine degli anni Quaranta - si costituirono quasi immediatamente numerosi comitati formati da diverse migliaia di Istriani, di Fiumani e di Dalmati italiani, da poco evacuati dai territori di origine e dalle località di residenza, e riparati in Italia.

Questi comitati in breve tempo si organizzarono in associazione, dando vita a quella che di lì a poco, prese il nome di Associazione Nazionale Venezia Giulia e Zara (soltanto in seguito “Zara” sarebbe stata sostituita da “Dalmazia”), che andava ad aggiungersi al Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria, già esistente dall’immediato dopoguerra.

Queste due entità, distinte e spesso in contrasto tra loro per ragioni politiche e partitiche, per un certo periodo furono il solo, unico punto di riferimento per gli Esuli nelle principali città italiane.

Le contrapposizioni interne ai partiti nazionali, ed in particolare quelle tra le varie correnti della Democrazia Cristiana, si riflessero inevitabilmente e ben presto sull’azione del Governo italiano rispetto alla politica internazionale – soprattutto nella delicata questione del Territorio Libero di Trieste – ed incidendo fortemente anche sugli umori delle due associazioni esistenti, finendo per logorare una consistente fetta dell’elettorato, soprattutto istriano, sempre più insofferente e contrario ad una politica rinunciataria rispetto ai diritti di sovranità sui territori ancora contesi tra Italia e Jugoslavia: ovvero Trieste e l’Istria nord-occidentale.

L’acuirsi delle tensioni internazionali ed il peggioramento delle relazioni con Tito, a seguito della Nota Bipartita Anglo-Americana di ottobre, e la drammatica situazione a Trieste con la sanguinosa repressione dell’insurrezione del novembre 1953 da parte delle autorità alleate, generarono, all’interno delle citate due organizzazioni di rappresentanza dei profughi, le premesse per la creazione di un nuovo organismo, capace di dimostrarsi indipendente dalle logiche e dalle imposizioni partitiche e, quindi, in grado di poter meglio tutelare e difendere i diritti italiani su Trieste e sulla Zona B dell’Istria, le quali sarebbero dovute essere ricomprese nel nesso del territorio nazionale. Risalgono proprio a questo periodo i primi incontri per la fondazione di una nuova associazione di esuli istriani.

Il 5 ottobre 1954, con la Firma del Memorandum di Londra – celebrata solennemente lo scorso mese - che avrebbe sancito il ritorno di Trieste all’Italia, ma lasciato i Comuni italiani di Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Verteneglio, Buie e Grisignana all’amministrazione fiduciaria jugoslava, si concretizzarono i timori degli Esuli per la fuga di altri 50.000 concittadini circa, che avevano sinora resistito ai soprusi ed alle imposizioni del regime nazional-comunista di Tito. Avrebbe avuto così inizio un nuovo flusso di profughi che sarebbe durato, con diversi picchi, almeno fino ai primi anni Settanta.

Questa mutata situazione geopolitica, dopo la conferma di Trieste italiana, condusse velocemente ad una fitta serie di riunioni che diedero vita ad un Comitato promotore che ebbe il compito di elaborare una bozza definitiva di Statuto (già predisposta, in una sorta di forma provvisoria, nell’estate precedente), e di definire il nome e la struttura di un nuovo organismo. Tra i propugnatori dell’iniziativa vi furono personalità di origine istriana di primo piano della società triestina di allora: non corrisponde, infatti, al vero la frequente convinzione che l’Unione degli istriani sia stata fondata esclusivamente da Esuli dalla cosiddetta Zona B, valutazione, questa, spesso utilizzata in seguito per caratterizzarla come associazione di carattere locale e sminuirne così il valore e l’importanza agli occhi delle autorità nazionali; venne invece costituita da Istriani di varia provenienza, ma già residenti a Trieste dagli anni Quaranta e addirittura prima, nella stragrande maggioranza dei casi.

Presso la sede della Lega Nazionale, a Trieste, vennero messi a punto gli ultimi dettagli con la predisposizione degli inviti da distribuire a tutti gli Istriani che fossero stati d’accordo nel partecipare alla nascita della nuova associazione.

L’Assemblea costitutiva ebbe luogo domenica 28 novembre 1954, settant’anni fa, presso la Sala del Cinema Alabarda, al numero 13 di largo Barriera Vecchia, a Trieste.

Dopo una mattinata di interventi e di applausi e dopo che lo Statuto proposto dal relatore avv. Lino Sardos Albertini venne votato all’unanimità, l’Assemblea elesse i membri del primo Consiglio Generale, quelli del Consiglio dei Probiviri e del Collegio dei Revisori dei Conti.

L’elezione avvenne tramite voto segreto ed alla conclusione delle operazioni di spoglio delle schede il Presidente dell’Assemblea, il dott. Guido Hugues, comunicò l’esito delle votazioni e proclamò gli eletti. Il primo Consiglio Generale sarebbe stato composto da 40 membri.

Ne voglio ricordare alcuni:

  • Il colonnello Piero Almerigogna, di antica famiglia capodistriana, fondatore assieme a Pio Riego Gambini e ad altri coraggiosi giovani, del fascio Giovanile Istriano nel 1913, sostenendo la causa della redenzione dell’Istria;
  • Ing. Renato Depangher Manzini, il regista della costruzione dell’Acquedotto istriano negli anni Trenta, che rimane ancora la più grande opera pubblica – tralasciando la nostra splendida Arena di Pola – finora mai realizzata in Istria;
  • Lina Galli, di Parenzo, amata scrittrice e poetessa dell’Esodo, e studiosa di Italo Svevo;
  • Luigi de Manincor, rovignese, velista, vincitore della Medaglia d’Oro nella vela (classe 8 metri) ai Giochi olimpici di Berlino 1936, partecipando anche a quelli di Londra del 1948;
  • Il colonnello carrista Pietro Zoppolato, protagonista di tante prodezze ed audacie militari durante il secondo conflitto monidale;
  • Luciano Mazzaroli, padre del generale Silvio Mazzaroli per lunghi anni con me Vicepresidente dell’Unione degli Istriani;
  • Ugo Harabaglia, presidente della Lega Nazionale;
  • Riccardo e Fabio Zetto, padre e figlio. Riccardo, magistrato, ricoprì la carica di giudice per molti anni, prima a Catanzaro e poi a Trieste, dove divenne anche Presidente della Corte di Assise d'Appello.
  • Il figlio Fabio, classe 1915, fu Volontario di Guerra in Etiopia, poi tra i membri dell'Insurrezione di Trieste guidata da don Edoardo Marzari, inquadrato nel corpo dei Volontari della Libertà. In Istria lavorò come funzionario della Cassa Agricola, mentre nel dopoguerra divenne Direttore della Cassa Marittima a Trieste. Fu eletto Segretario Generale nella Assemblea costitutiva del 28 novembre 1954. Stiamo parlando del bisnonno e del nonno dell’attuale Vicepresidente Enrico Brandmayr

La prima assemblea si svolse il mese seguente, nel pomeriggio dell’11 dicembre, nella sala Maggiore della Camera di Commercio di Trieste, offerta per l’occasione dal Consigliere cap. Antonio Cosulich e vennero eletti all’unanimità l’ing. Nicolò Martinoli (lussignano) presidente, e l’avv. Lino Sardos Albertini (capodistriano) Vicepresidente. Nella stessa sala, al sera del 10 gennaio 1955, si riunirono il Consiglio Generale, il Consiglio dei Probiviri ed il Collegio sindacale, in una seduta che il vicepresidente Sardos Albertini presiedette e nella quale venne eletta anche la prima Giunta esecutiva, che risultò così composta: Presidente avv. Lino Sardos Albertini, Vicepresidenti Luciano Mazzaroli (polesano) ed il prof. Elio Predonzani (piranese); Segretario generale il dott. Fabio Zetto (capodistriano); Consiglieri Giuseppe Orbani, il dott. Renato Timeus (portolano), l’avv. Lucio Chersi, Nino Belli, prof. Anita Pesante Burian, il dott. Bruno Neri e l’avv. Lucio Felluga.

Da quel gennaio 1955 e fino allo scorso mese di ottobre 2024, la Giunta Esecutiva si è riunita ben 406 volte, il Consiglio Generale 309, l’Assemblea Generale, in seduta ordinaria e straordinaria, 98 volte.

La prima sede sociale trovò ospitalità nella centrale via San Lazzaro dove rimase fino al 1956 per trasferirsi successivamente prima in uno stabile di via del Coroneo (fino al 1958), poi di seguito in via della Ginnastica, in via Tiziano Vecellio ed infine, dal 1960, nei prestigiosi locali di Palazzo Tonello, nella centralissima piazza Goldoni, che sarebbero stati acquistati nel 1984.

Oltre al carattere sovra partitico, l’Unione degli Istriani aveva un’altra particolarità che la distingueva dalle altre organizzazioni e che attraeva sempre maggiore interesse, ovvero la sua struttura federativa, scelta già allora quale soluzione all’innata tendenza verso i particolarismi e ai campanilismi, e ritenuta in grado di amalgamare le diverse identità peculiari delle varie comunità nate in base alle località di provenienza dei consociati. Si costituirono così tutte le altre Famiglie istriane, o Fameie, che aderirono e, nella maggioranza dei casi, nacquero proprio in seno all’Unione. A metà degli anni Sessanta saranno ben 17 le Famiglie che vi avranno aderito, cui poi si aggiunsero ulteriori organismi interni ed anche diverse società sportive: la Libertas di Capodistria, la Pullino di Isola d’Istria, la Forza e Valore di Parenzo, l’Arupinum di Rovigno e la Pietas Iulia di Pola. Due di queste, la Pullino e la Pietas Iulia, sono ancora attive.

L’Unione degli Istriani è stata retta da 9 diversi Presidenti, me compreso. Il primo fu Nicolò Martinoli, nato nel 1888 a Lussinpiccolo, città della quale fu Podestà per più volte e che lasciò nel 1945, a seguito dell’occupazione slava che la strappò per sempre dal nesso nazionale, trasferendosi a Trieste.

Laureato in architettura navale a Vienna, visse nel capoluogo giuliano, ricoprendo cariche di grande rilievo: fu Presidente della Società di navigazione Marco N. Martinolich e Lussino, Vicepresidente della Camera di Commercio di Trieste e della società di assicurazioni SASA. Rimase alla guida dell’Unione degli Istriani fino al luglio 1961. Il secondo fu il capitano Guido Cosulich

Dodicesimo dei venti figli nati dal matrimonio di Callisto Cosulich e Maria Elisabetta Zar, Guido Cosulich vide la luce il 27 settembre 1887 a Lussinpiccolo, l'incantevole piccola Patria resa famosa, come tutta l'isola, nella storia marinara dalla sua gente vigorosa, schietta, intelligente, intraprendente, costituita da navigatori, armatori e costruttori navali che dettero gloria alle bandiere di Trieste, all'Istria, a Venezia, all’Italia.

Dopo cinquecento anni di navigazione velica nel Mediterraneo e oltre, alla fine di quell'epoca, nella seconda metà dell'800, alcuni Cosulich emigrarono in Francia, Inghilterra e America, altri più tardi a Venezia. Genova e Napoli (tre città queste, in cui operano tuttora nei rami della navigazione), mentre la famiglia di Guido, consigliata dall'avo Antonio Felice puntò su Trieste, dove divenne protagonista della marineria e dell'industria giuliane, particolarmente negli anni trenta con le navi più grandi e più veloci del mondo: i transatlantici Saturnia e Vulcania, affiancati poi dalle motonavi gemelle Neptunia e Oceania.

Primati mondiali di distanza senza scalo (memorabile il volo dalla Spagna al Brasile nel 1937) vennero conquistati dagli idrovolanti costruiti nelle officine aeronautiche del cantiere navale di Monfalcone fondato dai Cosulich nel 1907, nel quale erano frequenti i vari di navi anche per l'armamento estero e per la marina militare.

I Cantieri Riuniti dell'Adriatico erano amministrati dai fratelli Cosulich quando dallo scalo del vecchio San Marco di Trieste fu varata, nel 1931, la motonave di lusso Victoria, la “nave delle meraviglie” come allora venne celebrata, un modello di perfezione che rivelò le elevate cognizioni tecnico-armatoriali di Guido Cosulich.

Fra le attività dei Cosulich di Trieste c'era la fondazione della SISA (Società italiana servizi aerei), la prima compagnia aerea italiana, l'istituzione di una scuola di pilotaggio aereo a Portorose, la riorganizzazione del Teatro Verdi di Trieste, la Società di alberghi e stabilimenti di cura “Portorose”, acquistata nel 1917 e diversi membri della famiglia erano fra i dirigenti della Confindustria e della Assicurazioni Generali.

Tutti loro, costantemente, si adoperarono per la difesa dell’integrità nazionale per far sì che Trieste non restasse chiusa entro confini angusti.

Quando nel 1926 il grande Oscar Cosulich muore annegato a Portorose nello sforzo di salvare I‘unico figlioletto (Callisto, divenuto poi giornalista e critico cinematografico) caduto in mare, il fratello Guido prese il suo posto alla direzione della Società triestina di Navigazione Cosulich.

Nel 1928 la Cosulich si assicurò la maggioranza azionaria del Lloyd Triestino ed a Guido venne affidato l'incarico di amministratore delegato; dal 1937 al 13 ottobre 1958 egli fu Direttore generale dello stesso Lloyd, che diresse con I'autorevolezza derivante dalla sua vitalità intellettuale e fisica, dalla capacità operativa, contribuendo alla cospicua partecipazione ai traffici internazionali, superando poi la drammatica situazione della flotta in gran parte distrutta dalla guerra, lavorando collegialmente con società di navigazione straniere in modo da assicurare gli interessi della propria bandiera e di quella nazionale.

Coraggiosamente, Guido Cosulich operò per evitare sia la già decisa distruzione del porto di Trieste durante l'occupazione tedesca, sia il trasferimento di materiali navali in Germania, e sia la precettazione dei dipendenti lloydiani per il servizio obbligatorio del lavoro.

E non minore travaglio egli ebbe, come i suoi fratelli Antonio e Augusto, nei quarantadue giorni della successiva barbara occupazione slavo comunista della città di Trieste dal 1° maggio al 12 giugno 1945.

Toccò poi al dott. Antonio della Santa, medico di fama nazionale, patriota, in servizio presso l’Ospedale Militare di Trieste durante l’ultima guerra mondiale, in cui si distinse, e poi direttore dell’Ospedale Infantile Burlo Garofolo di Trieste, che rimase in carica fino al 1967.

Poi venne il turno dell’avv. Lino Sardos Albertini, di famiglia capodistriana, fervente cattolico, che resse l’Unione per un periodo difficile ed intensissimo, di ben nove anni, fino all’agosto 1976; fu l’uomo della protesta contro la firma Trattato di Osimo; sacrificando una parte importante della sua vita, trascurando la sua attività professionale e sottraendo parte del suo tempo anche all’affetto della sua famiglia, egli ha strenuamente dedicato tutto se stesso alla causa, mobilitando deputati, in tutta Italia, ma anche all’estero di tutte le associazioni patriottiche, monarchiche, gli enti e le singole persone che osavano manifestare la propria contrarietà alla ratifica del Trattato di Osimo. Memorabili i raduni promossi a Roma, a Venezia a Palazzo Ducale con cinquemila esuli presenti, all’estero grazie alle crociere della fraternità.

Il quinto presidente fu il prof. Italo Gabrielli, patriota ed esponente di una importante famiglia irredentista di Pirano, il quale continuò dopo il suo predecessore la dura e ad armi impari battaglia, questa volta contro la ratifica parlamentare del Trattato di Osimo e rimase alla guida dell’associazione fino al 1981.

Gli successe il Maestro Fulvio Miani che ebbe il compito di far rinascere l’associazione dopo che la battaglia per la perdita della Zona B fu persa, e di perfezionare l’acquisto della sede di Palazzo Tonello, lasciando poi le redini nel 1985 all’umaghese Silvio Delbello che guidò l’Unione, lasciando una impronta profonda, rinnovandola profondamente, per tre mandati, fino al febbraio 2005, con l’intervallo di Denis Zigante che la resse dal 1992 al 1997; Silvio Delbello fu un profondo innovatore e grazie allo spirito imprenditoriale che lo contraddistingueva si fece promotore di grandi iniziative: a lui si devono i primi pellegrinaggi in Istria, il primo monumento dedicato ai Martiri delle Foibe in Italia, la fondazione della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, la realizzazione del Civico Museo della Civiltà istriana e tante altre iniziative.

Da marzo 2005, ovvero dalla prima celebrazione del Giorno del Ricordo istituito l’anno prima, l’associazione è presieduta dal sottoscritto, che nel solco di quanto già svolto dai coloro che lo precedettero, ha continuato a sviluppare e rinnovarla, rafforzandone il peso culturale e politico a livello regionale e nazionale, mantenendo sempre il carattere sovra partitico ed indipendente dell’Ente, così come stabilito dallo Statuto.

Se dovessi riassumere in poche frasi la lunga attività della nostra associazione potrei dire che essa si è concentrata su tre grandi questioni, allora fondamentali:

  • la difesa dei diritti italiani sulla Zona B del cosiddetto Territorio Libero di Trieste, lottando per l’impedimento della firma prima e della ratifica parlamentare poi, del Trattato di Osimo;
  • la rivendicazione, sacrosanta ed irrinunciabile, dei diritti sulle proprietà illegalmente confiscate illegalmente dal regime comunista in violazione di tutti i trattati internazionali e bilaterali e quindi del diritto inalienabile al ritorno nelle terre di origine, da italiani e non semplicemente da turisti;
  • la diffusione della Storia delle provincia italiana dell’Istria, la memoria dei Martiri delle Foibe e dell’Esodo giuliano dalmata, la salvaguardia delle peculiarità culturali e linguistiche delle genti istriane, con particolare riferimento alla conservazione del carattere italiano dell’Istria, attraverso lo studio e la pubblicazione di volumi di carattere storico e memorialistico; sono infatti fino all’ottobre 2024 all’attivo dell’Unione ben 406 pubblicazioni edite, 115 i convegni e 104 le mostre allestite a Trieste, in Italia ed all’estero.

Su questi tre punti, tutti i Presidenti si sono impegnati costantemente. Rispetto alla lunga battaglia contro Osimo, che vide Lino Sardos Albertini e Italo Gabrielli in prima linea, come abbiamo visto, ci sarebbe molto da dire ancora: poco noti, anzi, oscuri direi, rimangono diversi aspetti della questione, che andrebbero approfonditi ma la documentazione negli archivi non è tutta disponibile, è ancora in parte secretata, e ci vorranno degli anni prima di poter conoscere tutta la verità su quell’operazione che sancì la cessione, a trent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale ed a pochi anni dalla prevista morte del dittatore sanguinario Tito, di una parte di territorio nazionale senza contropartita alcuna.

E quello che vorrei oggi fare, a nome di tutta l’Associazione e dei suoi Dirigenti, ed in qualche modo anche a nome di quelli che non ci sono più, è proprio ringraziare pubblicamente coloro che – alcuni presenti anche in questa sala – hanno creduto fedelmente alla lotta contro il Trattato di Osimo e sostenuto l’Unione in quei difficili momenti: molti di essi – e questo è anche uno degli aspetti poco noti di tutta questa vicenda – molti di essi, dicevo, per aver partecipato alle proteste di allora, subirono vessazioni di ogni genere nei posti di lavoro; specialmente i dipendenti pubblici e delle grandi aziende statali e parastatali, circa un centinaio, non in poche decine, vennero “puniti”, subendo trasferimenti ingiustificati da Trieste ed almeno in una decina di casi, anche il licenziamento. Come “punita” fu anche l’Unione, che per decreto venne iscritta nel registro delle associazioni eversive.

Ma nulla di eversivo ha mai contraddistinto questa associazione, era autentico amor di patria e legittima difesa della nostra terra, di terra italiana.

Rispetto all’attività culturale e documentaristica, tanti furono i risultati raggiunti. Tra i più importanti, voglio ricordare la pubblicazione, nel 1999, di un accurato studio, intitolato L’Albo d’Oro. La Venezia Giulia e Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale”, che raccoglie oltre 18.000 nomi di scomparsi durante e dopo la seconda guerra mondiale. Questo studio, curato dal già Vicepresidente dell’Unione Luigi Papo e la cui terza edizione è stata realizzata anni fa dal compianto Giorgio Rustia, è lo strumento ufficiale ancora oggi utilizzato oggi dalla Commissione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri preposta alla valutazione dei requisiti necessari per l’assegnazione delle onorificenze ai familiari delle Vittime delle Foibe, come previsto dalla Legge istitutiva del Giorno del Ricordo. Senza dimenticare la valorizzazione dell’ingente archivio storico, dichiarato di grande interesse storico e tutelato dalle norme di riferimento del Ministero della Cultura, la grande produzione libraria, e le tante mostre di carattere didattico itineranti che toccano tutte le regioni italiane e pure alcuni paesi esteri.

Tantissime sono state, negli ultimi due decenni, le iniziative realizzate dall’Unione degli Istriani: dalla realizzazione del Museo di Carattere Nazionale CRP di Padriciano, un unicum a livello nazionale, riconosciuto dal Ministero della Cultura nel 2007 e da quest’anno riconosciuto dalla Legge istitutiva del Giorno del Ricordo, grazie alle modifiche apportate lo scorso febbraio.

Il Museo è oggi in corso di restauro, grazie ai preziosi fondi della Legge 72/2001 e, soprattutto, all’impegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia che concretamente sostiene il progetto complessivo che renderà questo sito, nel luogo in cui centomila istriani, fiumani e dalmati transitarono.

Sono stati rafforzati i presidi regionali in tutta Italia: dal Veneto al Piemonte, dalla Toscana alla Puglia, i Coordinatori regionali svolgono uno straordinario lavoro nei territori di competenza, promuovendo manifestazioni ed iniziative di grande valenza, in stretto coordinamento con le amministrazioni comunali e regionali partner: Regione Friuli Venezia Giulia, Regione Veneto, Regione Piemonte, e molte città da Bergamo a Macerata e fino alla Sicilia, rappresentano dei capisaldi per la diffusione tra la società civile delle tragiche vicende che ci hanno colpito e che per decenni sono state artatamente occultate. Oggi i Coordinatori sono presenti in sala con noi e credo sia giusto tributare a tutti loro un applauso.

Un’altra iniziativa di cui andiamo fieri è il partenariato con la federazione austriaca dei combattenti, il Kärntner Abwehrkämpferbund, che fa memoria delle due invasioni slave subite alla fine della Grande Guerra e quella del maggio 1945, tragedie che ci accomunano, facendo memoria del prezzo pagato nelle tante vittime innocenti. Un partenariato nato nel 2008 che ha contribuito alla diffusione anche all’estero della conoscenza delle vicende storiche del confine orientale d’Italia, grazie alla piena condivisioni di vedute con il da poche settimane defunto presidente Fritz Schretter, che desidero ricordare con affetto e gratitudine.

Ma l’Unione degli Istriani ha saputo fare anche dell’altro: amministrando con oculatezza e rigore di una azienda il proprio patrimonio, costituito da lasciti, contributi dei Soci e dagli incentivi delle pubbliche amministrazioni, a partire dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e dello Stato, decisamente essenziali per la promozione con continuità delle numerosissime attività che vengono svolte e che sono apprezzate ovunque, la nostra associazione da diversi anni offre ai propri Soci ed alle loro famiglie anche la possibilità di trascorrere dei periodi di soggiorno stagionale in strutture di proprietà a loro esclusivamente destinate, situate tutte nella Regione Friuli Venezia Giulia: gli immobili nelle località montana di Sauris, nel Parco Regionale delle Prealpi Giulie e nella splendida campagna pordenonese che in qualche modo ricorda le nostre, di campagne, anche se manca la terra rossa, rappresentano un valore aggiunto, una garanzia di un efficace impiego del patrimonio associativo a beneficio degli associati che fanno riferimento a questa nostra realtà.

Non mancano, però, anche le delusioni, che in questa occasione non sarebbe giusto nascondere: fra tutte, la mancata revoca delle onorificenze al maresciallo Tito e ai suoi massimi collaboratori, che nel 1969 ricevettero dal Presidente della Repubblica italiana Giuseppe Saragat.

E poi pesa, in maniera decisiva, il mancato riconoscimento formale da parte di Slovenia e Croazia, eredi materiali e morali della Jugoslavia comunista, della pulizia etnica compiuta con il massacro di migliaia di italiani e la nazionalizzazione di tutti i loro averi, nella nostra terra istriana, a Fiume ed a Zara. Un passo in tal senso, che deve dei rispettivi parlamenti, l’unico che potremmo definire credibile, non è mai arrivato e tale mancato passaggio, irrinunciabile per una reciproca comprensione, rappresenta per quanto ci riguarda un macigno sulla strada della comprensione reciproca. Atti estemporanei, di carattere politico non possono essere sostitutivi di un atto collegiale che ancora manca. Noi ne prendiamo atto, attendendo di conseguenza tempi migliori.

Per portare avanti queste operazioni di verità, ci vogliono impegno costante, determinazione, senso di responsabilità, così come un inguaribile ottimismo che, nonostante tutti i problemi, chi ha guidato l’Unione degli Istriani ha dimostrato sempre di avere e di saper trasmettere ovunque, in questi suoi primi settant’anni di storia.

A conclusione di questa passeggiata rievocativa, voglio ringraziare di cuore tutti coloro che ci hanno sostenuto e che hanno avuto un ruolo importante, cruciale nella realizzazione di tante belle iniziative: politici, artisti, scrittori, musicisti, giornalisti, ricercatori.

Ringrazio, personalmente, i Vicepresidenti, i Consiglieri di Giunta, i membri del Consiglio generale, i tantissimi Soci impegnati operativamente nella conduzione dei vari progetti nell’Associazione, Il grazie più grande, però, lo voglio dedicare alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, il cui sostegno non è mai venuto meno, e senza il quale moltissime cose che sono state fatte nel corso degli anni, non si sarebbero potute realizzare.

Grazie infinite tutti, un affettuoso abbraccio anche da parte dei tanti che non ci sono più – mi è giunta stamattina la notizia della scomparsa di una delle più luminose ed integerrime personalità degli ultimi anni della nostra Unione, cioè la cara, carissima Anita Derin – dicevo un grazie a tutti, anche quelli che ci ascoltano attraverso la televisione, un ultimo abbraccio affettuoso al Ministro Matteo Piantedosi che con la sua presenza qui oggi ci ha fatto davvero il regalo più bello, e buon compleanno cara, vecchia Unione.

Viva l’Istria, per noi, nei nostri cuori, sempre italiana!

Viva Trieste!

Viva l’Italia!

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica