"Tutti vorrebbero restare". Il vescovo africano smentisce la narrazione pro-migranti

"Creiamo ricchezza in Africa". Sosthène Léopold Bayemi Matje, vescovo di Obala (Camerun) ribalta la prospettiva sulle migrazioni come fenomeno ineluttabile. "Tutti preferirebbero rimanere nella propria patria"

Mons. Sosthène Léopold Bayemi Matjei e Alessandro Monteduro, direttore Fondazione Pontificia Acs
Mons. Sosthène Léopold Bayemi Matjei e Alessandro Monteduro, direttore Fondazione Pontificia Acs
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"Tutti vorrebbero rimanere qui, ma sono costretti a emigrare". Il volto dolente dell'Africa, quello che una certa narrazione sui migranti non contempla, lo svela monsignor Sosthène Léopold Bayemi Matje, vescovo di Obala, nel Camerun. Il religioso, che guida una diocesi rurale con circa 800mila abitanti, offre una testimonianza diversa da quella anche certe organizzazioni umanitarie seguitano a proporre. Il suo appello accorato non riguarda infatti il cosidetto "dovere dell'accoglienza" di cui - secondo alcuni - dovremmo farci carico sempre e comunque da questa parte del Mediterraneo. La richiesta del presule camerunense, piuttosto, è quella di aiuti e progetti che generino ricchezza in Africa. Per tutelare il diritto di quel popolo a non emigrare.

Apprezzando l'impegno della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, il vescovo ha affrontato il problema dell'emigrazione nel suo Paese, sottolineando la particolare importanza dei "per l'autosviluppo", volti a formare i ragazzi del posto e accompagnarli nel contesto lavorativo. "Continuate a sostenerci ma creiamo ricchezza in Africa aiutandoci a plasmare, anche tramite progetti pastorali, la giusta mentalità. Non è semplice ma è importante", ha affermato il religioso, sottolineando che "non solo i cristiani ma tutti gli abitanti del Camerun preferiscono rimanere nella loro patria". Un punto di vista diverso da quello di chi invece continua a raccontare le migrazioni come un fenomeno ineluttabile e addirittura destinato a crescere, rispetto al quale sarebbe inutile porre un argine. Nemmeno con interventi nei Paesi bisognosi d'aiuto.

"Esaminando i dati dell'emigrazione verso l'Europa, da circa 20 anni si registra una crescita dei camerunesi che emigrano verso Francia e Italia a causa del peggioramento della situazione socio-politica interna", ha piuttosto analizzato il vescovo, offrendo un punto di vista geopolitico più articolato. Ad esempio - ha argomentato - "un medico in Camerun percepisce circa 350 euro al mese. Con uno stipendio così basso non riesce a vivere. L'imprenditoria non si sviluppa perché non c'è accesso dignitoso alle risorse economiche: le nostre banche, che sono tutte francesi o inglesi, applicano tassi di interesse per i prestiti che arrivano al 10-12%".

E il problema - ha spiegato ancora il presule - ha radici storiche che ancora oggi hanno un loro peso. "La nostra moneta, il franco Cfa, è controllata dalla Francia, questo accade in Camerun e in altri 13 Paesi africani, e abbiamo l'obbligo di destinare metà delle nostre risorse alla Banca di Francia", ha aggiunto al riguardo monsignor Bayemi Matjei. Poi il vescovo ha fatto riferimento anche all'altrettanto drammatica situazione legata al terrorismo islamico in quelle zone. "I ragazzi vorrebbero rimanere a casa, ma sono costretti a emigrare. Da sei anni viviamo una situazione di instabilità a causa di Boko Haram e a causa degli scontri tra anglofoni e francofoni che utilizzano le risorse economiche per sovvenzionare le loro guerre e non per creare e favorire lo sviluppo professionale, le infrastrutture e le strutture necessarie al nostro Paese".

E infine: "La situazione è complicata e aggravata dalla corruzione. Assistiamo a una corsa al potere e temiamo un colpo di Stato".

Così, il monsignore ha ribaltato una certa prospettiva che sposta il problema sull'Europa, affrontandolo dunque solo in termini di accoglienza, e che ignora però l'orgoglio di quelle popolazioni costrette a lasciare - quando davvero la situazione è insostenibile - la loro terra.

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