Austria, riaperto il caso Kampusch "Il mostro forse aveva dei complici"

Natasha non avrebbe detto tutto sul maniaco che l’ha tenuta segregata per 8 anni: "Forse c'era una rete di pedopornografia". I weekend nella casa-prigione

Austria, riaperto il caso Kampusch  
"Il mostro forse aveva dei complici"

Si era comprata la casa del suo aguzzino dove era rimasta chiusa a chiave per otto anni. Subito dopo aveva tentato la strada del successo. Tante interviste in esclusiva in tv e servizi fotografici. Così Natasha Kampusch, la ragazzina rapita e scomparsa nel nulla, risbucava e risorgeva, otto anni dopo, presentatrice televisiva della tv austriaca. Una bella ragazza bionda, occhi gelidi e fissi all’obbiettivo, un sorriso facile da sfoderare. Tutto molto in fretta, tutto archiviato in meno di un anno. Lei andava avanti, guardando sempre dritto. Abbuffandosi di futuro. Con smania. Troppo il tempo da recuperare, troppi i dolori da dimenticare. Così la sbornia di una vita da star poteva attutire.

Fino a pochi giorni fa. Quando il passato le cade addosso con la solita violenza. Si torna indietro: l’indagine sul suo caso chiusa in tempo di record in meno di un anno, si riapre. Lo ha chiesto e ottenuto Ludwig Adamovich, noto avvocato, oggi consigliere del presidente e capo di una commissione speciale contro i casi di insabbiamento. E quello della Kampusch ad Adamovich proprio non quadra. Troppe imprecisioni, troppi dubbi mai chiariti, poche le domande alla vittima. Così dopo una anno di pressioni è riuscito a convincere il ministro della Giustizia austriaco a far riaprire una serie di files dell’indagine e a farli riesaminare da due investigatori. Più di tutto, il sospetto cade sui complici. «La teoria che Priklopil abbia agito da solo è difficilmente plausibile e il coinvolgimento di complici o perfino di una banda di pedofili non può essere escluso».

In effetti diversi elementi della storia non tornano. Il bunker dove la bambina era stata rinchiusa era stato costruito dopo e non in preparazione del sequestro. La vittima, che allora aveva dieci anni, avrebbe trascorso del tempo lontano dall’abitazione di Priklopil. Poi ci sono tutte le gite, le vacanze fatte, il racconto inquietante di Natasha alla polizia ripescato nei ricordi: «Priklopil mi aveva detto che saremmo andati nel bosco. Lui aspettava degli amici, ma poi al telefono gli avevano detto che non potevano venire». Chi erano questi amici? Priklopil di amici non ne aveva, tranne uno sporadico, un appassionato di informatica. I suoi vicini raccontano di un uomo solitario e taciturno. Una giovanissima testimone dell’epoca raccontò che a rapire Natasha c’erano due persone, uno alla guida e l’altro che la faceva salire a forza su quel maledetto furgoncino bianco.

A suscitare dubbi anche la tragica fine dell’aguzzino. Prima di uccidersi lui cerca di nascondere tracce. Anche questo farebbe pensare che la giovane non sia stata vittima di un singolo maniaco ma di una rete di pedofili. Adamovich critica. Accusa la polizia di non aver fatto abbastanza domande. E la Procura smentisce qualsiasi ipotesi di un insabbiamento volontario. Dice invece di aver voluto proteggere la privacy della ragazza.

E Natasha? «Il fatto che non abbia raccontato tutto non vuol dire che stia mentendo volontariamente, potrebbe semplicemente non essere a conoscenza del fatto che Priklopil avesse complici, oppure potrebbe temere le conseguenze di una sua testimonianza», spiega Adamovich.

Lei intanto resta lì. Lontana dalla realtà, nell’unica casa che sente sua, con la Bmw lucida di Priklopil. Dice di non essere felice. Di non voler vedere riaprire l’inchiesta. Il suo mondo deve restare suo, immobile. E per sempre.

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