Aston Martin Vanquish, nata per vincere

Vanquish è una delle poche supercar bella da qualsiasi angolazione la si osservi anche a distanza di anni che conferma l'eterna bellezza dell'oggetto

Aston Martin Vanquish, nata per vincere

Anche se non bevete, versatevi del Talusker in un calice, adagiatevi sulla più comode delle vostre poltrone, stendete le gambe e fatevi trasportare...e pazienza se soffrite di vertigini: oggi si vola alto. Se fosse un strumento sarebbe una Fender Stratocaster. Se fosse chi le da voce sarebbe David Gilmour ( britannico come lei ), se fosse una donna avrebbe le curve sinuose di Rita Hatworth, se fosse un'animale sarebbe un grizzly, e se fosse vento sarebbe una tempesta di emozioni. Stiamo parlando di Aston Martin, una leggenda nel campo delle opere d'arte con un propulsore con quattro ruote intorno, una leggenda fatta di corse, di gloria e di uomini, gli stessi che hanno l'orgoglio e il privilegio di dar vita ad oggetti marchiati con le doppie ali, simbolo di una delle più fascinose Factory del Vecchio Continente.

Aston racchiude in sé il dono dell'esclusività, dell'armonia, delle sinuosità delle forme, mai volgare, fatta di grazia, di dominio e di rispetto, non di prestazioni assolute. Negli anni 2000 a Newport Pagnell decisero di stupire i competitor d'oltre manica, italiani in testa. Alla Ferrari avevano presentato qualche anno prima la 550 Maranello a 12 cilindri anteriore, che si apprestavano a modificare in 575M. Gli inglesi risposero con la Vanquish e, a differenza delle forme grintose e longilinee della rossa di Maranello, misero in campo un' auto "corta" proporzionata, leggera, un meraviglioso esempio di design made in England. Nata dall'esperta matita di Ian Callum, non fu solo un successo, fu un pugno nello stomaco. Per il suo nome vollero un qualcosa che esprimesse forza e fu scelto "Vanquish" che in inglese arcaico significa "Nata per Vincere".

Ogni Vanquish era assemblata in maniera artigianale e il proprietario poteva scegliere tra un infinita varietà di personalizzazioni. La monoscocca era interamente costruita in alluminio al fine di contenere peso e aumentare rigidità torsionale a livelli delle auto da corsa. Interni curatissimi, classico esempio dell'eccellenza artigianale britannica, pelli Connoly pregiatissime e particolari di vera classe dal cruscotto in alluminio spazzolato ai "Paddle" del cambio al volante parzialmente rivestiti in pelle, un vero capolavoro. Cinquanta prototipi di Vanquish furono portati dai deserti ai ghiacciai per essere testati e spremuti nelle piuttosto avverse condizioni climatiche, percorrendo più di un milione di miglia (non km), in casa Ford (all'epoca propritari del brand) non scherzavano affatto, volevano che questa meraviglia fosse non solo bella ma anche affidabile. Forte del suo propulsore in posizione "Nobile" anteriore come si confà al suo rango di Regina (proprio come la Ferrari), per una cubatura complessiva di 6 litri con una schiera di 12 cilindri disposti a V, interamente fatto a mano, era in grado di far venire la pelle d'oca dal momento in cui si appoggiava il dito indice sul tasto "start", fino a quando la si riportava a dormire nel box.

Dicono ci sia un rapporto diretto tra il suono emesso dal motore e il battito del cuore del sui pilota (chissa se esiste su Tesla?). Avete mai sentito il sound emesso da un dodici cilindri Aston? Fatelo! Scegliete voi come ma sentitelo, è un urlo, il grizzly è lì pronto a far sentire la sua voce, non per difendersi o per attaccare, ma per far capire che non scherza affatto. Cambio meccanico oppure sequenziale a 6 marce con i ripetitori di cambiata al volante direttamente derivato dai cambi F1 dell'epoca.

I posti a sedere dichiarati sono 2+2, davanti si sta ancora comodi se paragonati ai posti a sedere di uno Space Shuttle, mentre dietro stanno comodi al massimo solo gli orsacchiotti di Mr. Bean.

In conclusione un Vanquish è una delle poche supercar bella da qualsiasi angolazione la si osservi anche a distanza di anni che conferma l'eterna bellezza dell'oggetto.

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