Horacio Pagani, il genio che trasforma le auto in opere d’arte inestimabili

Dalla crisi dell’automotive in Italia ai cinesi, passando per l’elettrico, l’amore per Leonardo da Vinci e i giovani. L'intervista a Horacio Pagani

Horacio Pagani, il genio che trasforma le auto in opere d’arte inestimabili

C’è chi lo definisce un visionario, chi un artista della razionalità o un genio della meticolosità, ma di sicuro Horacio Pagani non è un costruttore di automobili. Le sue sono opere d’arte che viaggiano sul filo dell’eleganza e dell’emozione a una velocità vertiginosa, frenate soltanto da un’irrimediabile umiltà. Dall’Argentina ha scelto l’Italia, precisamente San Cesario sul Panaro in provincia di Modena, per costruire il suo sogno, ovvero creazioni su quattro ruote che potessero far battere il cuore. E che oggi valgono dai 2 ai 15 milioni di euro. Lo incontriamo proprio lì, all’interno di quella che prima era casa e officina e adesso è diventata un’eccellenza mondiale.

Se dovesse spiegare a un extraterrestre cos’è Pagani, cosa gli direbbe?

«Che è un'azienda artigianale che cerca di mettere dentro un’automobile la passione, la conoscenza e lo stato dell’arte delle tecnologie, un’azienda che ha come padrone il cliente per cui lavora con rigore e responsabilità».

Horacio Pagani


E invece chi è Horacio Pagani?

«È il figlio di un fornaio e di una elegante e pratica signora, amante dell'arte nelle diverse espressioni, da loro ho imparato il rigore, la disciplina nel lavoro e nella vita e la passione per il bello».

I suoi valori di riferimento?

«Curiosità, intuizione, disciplina, passione, pazienza, rispetto, il tempo e la ricerca della bellezza».

Cos’è la bellezza?

«Qualcosa che eccita e attiva i nostri sensi»

Il tempo, in che senso?

«Nel senso di non perderlo, di rispettarlo e di sfruttarlo a pieno perché la vita corre troppo in fretta».

Ascolta ancora il rumore delle portiere che si aprono come faceva con le Mercedes a 15 anni nella pampa argentina?

«Sì, ascolto tutto quello che mi trasmette qualcosa».

Nelle sue auto la cura del dettaglio è tale che ogni bullone ha inciso il logo Pagani e molti le considerano opere d’arte, cos’è per lei un’opera d’arte?

«È un’espressione del cervello e del cuore che arriva alle mani oppure alla parte del corpo adibita a esprimersi. Per chi canta è la voce, nel nostro lavoro sono le mani. Credo che l’intellettualità manuale sia un po' l'espressione dell'arte, nel senso che c'è questo passaggio dalla mente, che pensa e crea, alle mani passando attraverso il cuore. E tutto ciò conferisce un valore assoluto, impossibile da misurare».

Lei disegna ancora con una matita, non ha mai usato un pc e lascia appunti scritti a mano sui modelli, come una sorta di artigiano.

«È grazie alle mani che facciamo le macchine, nel reparto composti, nel montaggio, da noi non vedi robot, fino a poco tempo fa tagliavamo anche tutti i tessuti di carbonio a mano».

Ha detto di essere venuto in Italia per fare l’auto più bella del mondo, ci è riuscito?

«L’ho detto a 27 anni, oggi non lo direi, credo che al netto del bello o del brutto le nostre auto siano oggetti con una identità e unicità sia estetica che tecnica».

Horacio Pagani


In un video le ha definite oggetti inutili.

«Ovviamente non è la vettura che ti serve a portare i figli a scuola. Ma Oscar Wilde diceva: toglietemi tutto ma non il superfluo».

Un superfluo che nel tempo si è rivelato un investimento incredibile

«Pensare che oggi una Zonda costa anche fino a 17 volte quello che era il valore originale ci rende orgogliosi perché vuol dire che il cliente ha creduto in noi e nel nostro lavoro».

Ma lei una cosa del genere l'avrebbe mai prevista?

«Sinceramente no».



Cosa sarebbe cambiato se non avesse fatto finta di avere tanti dipendenti quando Mercedes venne a trovarvi perla prima volta?

«Eravamo in quattro e ne ho chiamati altri 4-5. Abbiamo raddoppiato il personale. Spero, per rispetto al lavoro delle comparse, che sia stata determinante la loro presenza (ride... nda)».

Horacio Pagani


Risposta seria?

«Erano persone molto intelligenti, hanno visto un cofano in carbonio che non avevano mai visto, i disegni e poi Fangio aveva parlato bene di noi e ci ha aperto la porta».

È più contento se un suo cliente usa l’auto o se la tiene in garage come oggetto da collezione?

«Sono felice se il cliente è felice quindi la mia opinione poco conta. I colleghi del post vendita invece preferiscono la prima».

Ma le dispiace quando un cliente compra l'auto e non la usa?

«No, perché nel nostro piccolo io e miei figli, con cui condivido questa passione, siamo anche così: abbiamo Ferrari, Porsche e altre auto ma non le usiamo quasi mai. Il mio mezzo di trasporto preferito è la bicicletta su cui faccio 3/4000 km all’anno».

Tra le sue auto c’è la famosa Barchetta che tiene esposta nella sua azienda. Ne ha fatte tre, due sono andate all’asta battute a un prezzo di 20 milioni.

«No, una 13 milioni e mezzo e l’altra 14 e mezzo, che con le Pensare che una Zonda oggi costa fino a 17 volte il suo valore originale ci rende orgogliosi Non mi sarei mai aspettato che i nostri clienti non fossero interessati alle elettriche: una delusione tasse fanno circa 17-18 milioni. Una follia».

Horacio Pagani


Una follia?

«Sì, al cliente che ha comprato la terza ho detto: “Ma tu sai che questa macchina costa come un condominio?”. E lui mi ha risposto: “Questa macchina non mi costa niente, basta che ne venda due o tre di quelle che ho e me la pago con la differenza di prezzo”».

Si aspettava che i suoi clienti non fossero interessati alle elettriche?

«No, ed è stata una vera delusione, abbiamo dedicato anni e risorse a questo progetto. Però dobbiamo lavorarci ancora e fare in modo che le macchine elettriche diventino emozionanti».

Se fosse costretto ad avere una sola auto quale sceglierebbe?

«La Porsche 917».

Cita spesso Leonardo, come mai?

«Sono un suo appassionato e lo studio incessantemente da 50 anni. Era simpatico; umile; curioso; amava e suonava la musica, sapeva stare in mezzo alla gente, era un figlio illegittimo che non aveva potuto fare nemmeno le scuole tradizionali, si è dovuto arrangiare e inventare. Il suo concetto che arte e scienza possono camminare mano nella mano l’ho trovato un'ispirazione e una conferma del modo di interpretare il mio mestiere».

Che partita può giocare ancora l’Italia nell’automotive?

«Siamo già molto in ritardo quindi se non ci muoviamo in fretta sarà finita come per altri settori dove si è persa la competitività o che sono scomparsi. È vero che rimangono ancora delle eccellenze ma saranno sufficienti ad alimentare il sistema? Amo l'Italia, dicono che la patria sia il posto dove si lavora e si crescono i figli, nel venire qui l’ho scelta. Senza offendere, temo che siamo distratti, polemici e spesso vediamo che sta succedendo qualcosa di grave e non facciamo il sufficiente per evitare che accada il peggio, forse dovremmo essere più umili nel senso di essere orgogliosi della nostra bravura, della nostra storia e altrettanto consapevoli della nostra ignoranza».

Horacio Pagani


E intanto i cinesi...

«Hanno lavorato bene, qualche volta un po’ al limite per quanto riguarda la correttezza. In ogni caso in Cina oggi c’è la concentrazione più alta di tecnologia e una popolazione attiva elevata. Sull’elettrico sono difficili da superare e credo arriveranno rapidamente con l’ibrido e altre tecnologie per dare una risposta al mercato».

Come si immagina la mobilità del futuro?

«Probabilmente un'evoluzione di quello che c’è oggi. Ci sono nazioni più giovani, con meno vincoli storici e burocratici che faranno prima dell'Italia. Come priorità bisogna ottimizzare il trasporto pubblico e, nelle zone con alta concentrazione demografica come le grandi città, la mobilità elettrica, premesso che l’energia sia prodotta in modo meno inquinante».

Il suo errore più grande?

«Essere molto duro con me stesso e spesso anche con gli altri».

Ah, è molto esigente.

«Sì, altrimenti le macchine non sarebbero così. La mia è una continua ricerca volta a migliorarmi. La ricetta che trasmetto ai miei colleghi è di cercare di competere con se stessi e non con gli altri».

La sua paura più grande?

«Le mie paure sono quelle che hanno tutte le persone responsabili, e a volte non mi lasciano neanche dormire e non ho paura di dirlo, sono l’incertezza del futuro, la stupidità umana, delle volte osservando mi chiedo se abbiamo di cattivo quello che ci manca di buono oppure il contrario».

Lei è stato un giovane che ha osato. Oggi c'è più bisogno di giovani che osano o di imprenditori che credono nei giovani?

«Oggi ci sono tanti imprenditori che credono nei giovani, secondo me oggi è più facile fare tutto, accedere alla cultura, alla conoscenza, alla ricerca».

Cosa consiglierebbe a un giovane?

«Di assecondare l’intuizione che ha, rispettare le passioni e il modo migliore per farlo è sporcandosi le mani consapevoli che bisogna faticare, combattere, sbattere la testa contro un muro, fallire e ripartire, non ho altre ricette».

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